19/06/2020

Non so come o perché, soltanto oggi, mi è venuto in mente che io una quarantena l’avevo già fatta. Era estate: l’agosto del 1974. Lo ricordo benissimo: avevo superato con successo l’esame di terza media qui ad Abano alla Scuola “Vittorino da Feltre”. Facevo, per la prima volta, un viaggio studio all’estero, in Francia, con mia sorella, accompagnate dall’istitutrice, la prof. Elise Bon. Una volta rientrata da Parigi, sarei andata al mare, in Sicilia, dalla cugina preferita di mia madre: la mitica zia GIANNA che confezionava vacanze-sogno come un grande tour operator. I luoghi, la casa, le feste, gli amici e la spiaggia, ma soprattutto l’ospitalità, erano il massimo per chiunque, ma, per una adolescente come me, andare a Capo d’Orlando, in una destinazione turistica affascinante all’interno di un entourage famigliare protetto e protettivo, voleva dire sentirsi liberi pur non essendolo in realtà, come si usava in certe famiglie meridionali, note in paese, i cui uomini sposavano donne bellissime ed emancipate come Gianna. Da allora, Mare & Libertà, è stato un binomio indissolubile. Quell’estate così promettente finì male… divenni sempre più gialla e rientrai d’urgenza in aereo a casa per essere ricoverata nel policlinico di Abano Terme, in isolamento, per sospetta epatite da cibo… quell’ittero mi costò una vera quarantena. Fu così che iniziai la mia carriera liceale entrando con un mese di ritardo, mai abbastanza scontato, in quarta ginnasio. Non un ginnasio qualsiasi, ma quello del Liceo Classico Tito Livio, nella leggendaria sezione F. Dalle medie aponensi al liceo patavino, fu come passare dal paese delle Meraviglie alla Germania nazista. In realtà, di quelle settimane in ospedale, ho ricordi indelebili: il giallo dei miei occhi; oggi, al contrario, sfoggio un’abbronzatura invidiabile, come al ritorno da una vacanza siciliana. Una sensazione di affaticamento e inappetenza che anche nel lockdown ho provato. Una solitudine ben sopportata allora come ora. La mia stanza nel policlinico era al terzo piano e dalla finestra guardavo giù gli amici che venivano a salutarmi, al ritz sono salita più in alto, abito al quinto, e le telefonate al cellulare mi hanno fatto davvero compagnia. Ricordo che in camera c’era la televisione che andava con le monetine, adesso snobbo i tanti canali TV. Allora, per passare il tempo, leggevo e imparavo il punto catenella all’uncinetto, mentre qui, nella cattività da pandemia, scrivo GLORIA.

2 Comments

  1. Madame Verdurin

    Anche io ho fatto il Tito Livio. Proprio l’altro giorno ho incontrato la mia professoressa di inglese, che avevo avuto per quattro anni e che mi dava sempre voti superiori al 9. Non mi ha riconosciuto né dal viso né dal nome e si è giustificata dicendo che per lei è molto più facile ricordarsi degli studenti problematici e combinaguai che di quelli studiosi e diligenti… Questo per dire che a volte sembra un vero dramma perdersi un periodo di scuola (e di giovinezza) come è successo a te (e anche io purtroppo nel periodo scolastico di magagne ne ho avute parecchie) ma a pensarci bene cosa ci siamo perse veramente? Meglio un buon libro…

    1. abanoritz Post author

      Ma in che sezione era? Perché personalmente per me è stato un periodo davvero tosto, ma di grande formazione, che mi ha permesso poi di affrontare un brillante percorso universitario.

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