18/06/2020

In questi giorni intensissimi e di grande preoccupazione per tutto, ho sentito due ottime sintesi sul mondo turistico al tempo del Covid. La prima è la tesi delle 3 A: il settore Alberghiero ha bisogno di essere Ascoltato, Anticipato e Accompagnato; la seconda semplicemente evidenzia che chi con l’estero non esporta merci, ma importa persone, è colpito al cuore. È così, e non c’è moltissimo da sperare al momento, sarà per questo ma io sto fumando di più.

Nel 1975 una legge stabiliva che al cinema non si sarebbe più potuto fumare. Una legge tutta italiana, allora utopica e all’avanguardia – la 584 dell’11 novembre 1975 – stabiliva il divieto di fumare in determinati locali e sui mezzi di trasporto pubblico. Tra gli ambienti: corsie degli ospedali, aule scolastiche, sale di attesa delle stazioni, sale da ballo e, sì – la cosa apparve come un’assurda imposizione degli integralisti della salute – nei cinema. Si è ritentato poi nel 1995 e finalmente nel 2003 si è definitivamente vietato il fumo nei luoghi chiusi, a eccezione di apposite stanze da fumo. È stato un brutto colpo ai ristoranti anche quelli considerati, dai più, autentici templi della libertà e del relax. La mazzata è arrivata nel 2005 con sanzioni non trascurabili. Fumare fa male, si sa. È una certezza scientifica che ci viene costantemente ricordata dai media, dalla legislazione e dai salutisti. Perché allora, al giorno d’oggi, nonostante le evidenze, quasi il 45% della popolazione si dedica a questa pratica?

Partiamo col dire che l’uso di tabacco risale ai tempi dei Maya e degli Aztechi, che masticandolo entravano in una specie di alterazione dello stato di coscienza. Dopo la scoperta dell’America, il tabacco coltivato per la prima volta in Inghilterra, giunge in Europa. Di lì in poi il fenomeno subisce un incremento esponenziale. A partire dall’Ottocento il fumatore è l’artista, l’eroe, l’adulto che segnala, esibendo il sigaro, la sigaretta, la pipa, una distinzione sociale o intellettuale. La figura del fumatore subisce, così, un’operazione di sublimazione. Essa viene ingigantita e mitizzata: Sebastian Bach fece una composizione in onore del fumatore. Lo smoking era appunto la giacca indossata ad hoc dai  borghesi per andare a fumare. Nei film girati fra la Prima e la Seconda guerra mondiale i divi fumavano quasi tutti, il gesto del fumare inizia così ad assumere un valore artistico. Solo per citare i più iconici: Clint Estwood, Marlene Dietrich, Sean Connery, Humphrey Bogart, Jean Gabin … fino al bravo Toni Servillo de La Grande Bellezza, malinconico personaggio avvolto da una nube indistinta..

“Non si smette mai veramente di fumare. Si finge di farlo, come si finge di non amare chi ti ha spezzato il cuore” scriveva qualcuno. Ma allora mi chiedo non bisognerebbe forse evitare che nei film apparissero anche armi, alcol, droga, giuoco d’azzardo, suicidi, nonché bibite gassate e dolciumi, che comportano l’insorgere del diabete? Il fumo nel cinema non è solo un gesto legato ad un’assuefazione fisica, ma quasi un mezzo espressivo che racchiude in sé una serie di cause ed effetti. Paura, vergogna, gioia, aggressività, solitudine, trasgressione. Una nevrosi al pari di quella trattata da Svevo nella Coscienza di Zeno? Fumare come identità sociale? Non starò qui a polemizzare sulle lobby del tabacco o sull’emancipazione femminile che passa attraverso gli anelli di fumo di una sigaretta. Vizio, gestualità ossessiva, dipendenza: tutto vero, ma spiegatelo voi a un cliente del ritz, mediamente non più giovane, che non può fumare. È stata una battaglia durissima tra coloro che si sentivano ghettizzati in sala fumatori e coloro i quali, oramai autorizzati all’intransigenza, si lamentavano anche di chi fumava al barbecue nel parco. E le camere? Come gestire la faccenda quando il fumo da una terrazza arrivava nella terrazza vicina? Lavare tende e moquette non bastava, i non fumatori hanno un olfatto indagatore da cani da tartufa e un sospetto malfidente che non si può contraddire. All’inizio abbiamo fatto sparire i posacenere dalle terrazze con il risultato di avere un marciapiede pieno di mozziconi. Poi abbiamo selezionato un piano ma è stato fallimentare visto l’attaccamento dei nostri clienti per la loro stanza  nel loro specifico piano. Infine abbiamo dichiaratamente vietato di fumare nella zona notte, ma, per quanto la sala fumatori del ritz sia ampia ed elegante nonché dotata di un aspiratore che ha la potenza di una tromba d’aria, gli ospiti preferivano fumare fuori così l’esterno dell’albergo è stato disseminato di posacenere, sempre più neri e più grandi, mai svuotati in maniera abbastanza sollecita.

Mio padre fumava e mia madre fumava, lei , fedele alle Mercedes, ha smesso dopo di lui. Io ho cominciato presto e come tutte le adolescenti chissà che mi credevo di fare… fumavo Gala perché erano le sigarette della madre del mio fidanzatino di allora. Ho smesso quando sono rimasta incinta, ma poi, finito l’allattamento, ho sempre ricominciato. Mi sono affezionata alle Multifilter blu lunghe, in scatola rigida, oggi Muratti, ma non ho mai osato accendermi una sigaretta davanti ai miei genitori. Vecchia educazione che portava con sé il grande vantaggio di costringermi a fumare poco. Ovviamente evito le sigarette in ufficio e in albergo, ma è liberatorio fumare in macchina anche se l’ultima non è dotata né di posacenere né di accendino. Ora i miei genitori non ci sono più, il ritz è vuoto e io al posto delle mie 5 sigarette oggi mi trovo ad accenderne il doppio mentre i miei figli non fumano più.

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