AAA cercasi GLORIA disperatamente…
…rileggendo e sfogliando la rubrica-diario dell’anno scorso mi sono resa conto che esistono “schiavitù” che si possono desiderare, come quella di GLORIA al tempo del vero lockdown in un albergo gigante e vuoto, in cui tutto era possibile grazie alla fantasia, alla memoria, al viaggio interiore che il mio alter ego mi aveva permesso… sembra passata una eternità e oggi, cercando quell’energia professionale, quel profumo di entusiasmo e di vita, mi rendo conto che in quest’anno è maturato in me un diverso stato d’animo e senz’altro una nuova evidenza: non voglio essere resiliente! Una parola alla moda. Suggestivo e affascinante l’uso figurato del termine resilienza. No, non è comune che nel nostro vocabolario Treccani vi trovi posto come il nome di una nuova virtù. Resistere è una qualità? Per essere resilienti bisogna: sopportare senza lamentarsi, essere coraggiosi e impegnati. In sintesi un supereroe. La reazione della persona resiliente è quella di riorganizzare la propria vita positivamente. C’è bisogno, è chiaro, di archetipi eroici in questo XXI secolo schizofrenico.
Il termine resilienza affonda le sue radici nel latino resilire che significa saltare indietro, rimbalzare… I suoi sinonimi possono essere: resistenza , tenuta, robustezza, solidità, elasticità. Ma allora parlando di sinonimi e contrari, la resilienza è l’opposto del termine fragilità? La resilienza deve la sua origine al mondo metallurgico , alla “qualità” di un metallo di resistere alla forze applicate .
La resilienza mi sembra sia oramai considerata non solo come una predisposizione ma come una competenza che è possibile acquisire o rafforzare. Lo dimostra la quantità di saggi e articoli pubblicati in merito. Il PNRR, per esempio, è una sigla che sta per Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e si tratta del programma di investimenti stilato a suo tempo dal governo Conte. La resilienza è dunque una tecnica o una strategia che permette di farci superare una crisi, di sviluppare la capacità di “risalire” attivando risorse interne ed esterne?!
Io sono per una fragilità elegante perché oltre a resistere occorre capire e oltre a capire occorre sentire e immaginare. Non dovremmo, e comunque io non posso, solo fare, ma c’è bisogno anche di non fare, non fare niente per pensare e ascoltare. Essere resilienti non ci permette spazi interiori di abbandono o aperture laterali, non ci permette di concederci al mondo suggerendoci piuttosto di resistergli. Così voglio essere fragile e incoerente, del resto le foglie ci insegnano a non rimanere attaccati cedendo al vento e allo svolgere delle stagioni.
“Il mondo ci spezza tutti quanti, ma solo alcuni diventano più forti là dove sono stati spezzati.”
Ernest Hemingway