19/07/2020

Meno 3: tra tre giorni compirò i miei (primi) 60 anni! So che è un compleanno importante, ma onestamente non lo sento particolarmente. In passato ho organizzato tante feste e tutti i compleanni: quelli dei miei figli, ma anche i miei, come i compleanni del loro papà, sono state sempre occasioni per festeggiare non soltanto una persona, ma un nucleo famigliare, parenti e amici compresi… ma, cresciuti loro, i miei ragazzi, e ognuno di noi avendo imboccato la propria strada, non ho più la spinta per organizzare grandi feste, né trovo ragioni forti di questi tempi visto il momento… Ho comunque preparato una piccola sorpresa, che immagino attesa, per i miei cari: una gita fluviale. Amo navigare i fiumi e mi sembrano, le vie d’acqua, sempre magiche e simboliche. Saremo in pochissimi in gita per i miei 60 anni: mio figlio Francesco che sta macinando 1000km per raggiungermi, mia sorella con le mie nipoti Lorenza e Federica e tre amici del cuore che sono le amiche di sempre o comunque lo sono diventate vivendo accanto a me le tappe importanti della mia vita: l’adolescenza, la maternità, il lavoro. E pensando alle famose tappe mi rendo conto che solo mia zia Maria è oggi rimasta l’unica testimone e custode della mia primissima fase di vita ovvero la mia infanzia. E, pensando a lei, a me vengono in mente le sorprese. Le sorprese vere sono quelle che non sai, inaspettate, quasi inutili, rappresentano quel qualcosa in più. La memoria va all’uovo di Pasqua e alla calza della Befana. Purtroppo l’uovo di Pasqua moderno ha perso il suo fascino sorprendente oramai: svela tutto nell’incartamento, togliendo ogni trepida attesa, ogni desiderio di scoprire. Nella carta lucida e colorata ci viene già indicato il genere della sorpresa: uovo per maschi e uovo per femmine… non potrà mai più capitare che una bambina ci trovi dentro una macchinina. Viene suggerita anche la specie della sorpresa: se sarà un gioiellino o un pupazzetto o un personaggio della Marvel piuttosto che uno della Kinder… resta la gioia di rompere l’uovo di cioccolato che poggia in un bicchiere di plastica sempre più grande che sostiene un uovo di Pasqua sempre più piccolo.

Alla calza della Befana restano legati i miei ricordi più felici. La zia Maria era la Regina del manufatto-calza e la Sacerdotessa della ricerca, nelle bancarelle post natalizie, dei contenuti più fantasiosi . Ma non era tanto la quantità dei giochini introvabili o dei dolciumi variopinti ma, la gioia incontenibile e bulimica consisteva tutta nel continuare a infilare la mano nella calza sempre più lunga, sempre più sgangherata e bitorzoluta e soprattutto svolgere a uno a uno quei pacchetti misteriosi che sembravano non finire mai. Il testimone mia zia l’ha passato a me che ho continuato la tradizione con i miei figli: la vera festa era vederli stracciare con impazienza una calza che era diventata un collant e guardarli scartare ogni cartoccio con eccitazione crescente… finchè, non so quando, mia sorella ha cominciato a confezionare per me la calza della Befana super tailor made. A casa sua vivono più intensamente l’Epifania che la festa di Natale anche perché la notte di Natale è al ritz. Così, è lei ora che, interpretando il suo ruolo di sorella maggiore, mi sta facendo ritrovare la calzetta. Del resto mia sorella la calza l’ha sempre preparata, come la zia e dopo la zia, anche alla mamma, continuandola a viziare affinché mai niente cambiasse per Lei… e così si chiude il cerchio. Nella calza della Befana di me bambina non potevano mancare né le bolle di sapone, né l’animaletto di legno comprato ad Asiago che schiacciando il bottone sotto il piedestallo, si piegava, si inchinava e muoveva la testa. Li avete presente? Figure semovibili a cilindretti di legno infilati in elastici collegati ad un bottone su cui si faceva pressione con il pollice per farli muovere come marionette un po’ disarticolate. Se si cade è importante rialzarsi, questa è la lezione impartita da queste figure a pressione che caracollavano giù e si alzavano su premendo sotto il piedistallo. C’erano poi, ognuno nel suo pacchettino, avvolto alla bene e meglio, in una carta qualsiasi, oltre le monete di cioccolato, i “ciucci” esagerati: dolciumi  dalle fogge e dai colori più diversi: ciucci-caramella, ciucci-soft, gommose a forma  di animali, di cuoricini, di vermi o di dentiera, di frutta, di bottigline di coca cola, girelle di liquerizia e stringhe di liquerizia, torroni molli e duri ,mandorle caramellate….

Nella calza della Befana a volte trovavo il pacchetto di sigarette di chewingum. Articolo proibito, e dunque molto desiderato, che mia madre aveva bandito, la gomma da masticare era verboten, sia questa divertente e piena di zucchero, che poi  la gomma del ponte, la classica Brooklyn della Perfetti, quella sottile lastrina flessibile che si scartava dalla stagnola e si piegava in due prima di masticarla, come, più tardi, la Bubble Gum rosa che riempiva la bocca. Era l’oggetto del desiderio perché vietatissimo, diseducativo e pericoloso. Gomma da masticare, chiclets, chewing gum, cicca, gomma, cingomma… guai a inghiottirla, guai ad attaccarla da qualche parte, guai a masticarla in continuazione o a fare le bolle. Un Alimento sui generis il chewingum. Rispetto infatti al suo valore nella scala alimentare e alle qualità nutrizionali che lo contraddistinguono, il chewingum si è ritrovato col passare del tempo ad assumere significati simbolici mettendo in luce comportamenti sociali, che vanno ben oltre il semplice legame con la cultura alimentare. Basti pensare alle motivazioni che hanno spinto l’uomo, fin dai tempi antichi, a masticare sostanze che non potevano né dovevano essere ingoiate. Gli scopi erano verosimilmente diversi, ma riconducibili per lo più a finalità curative e igieniche, di piacere, di attenuazione dello stress o della fame. Le prime tracce di un simile uso della gomma naturale risalgono addirittura ai Maya. La gomma americana è banalmente un prodotto dolciario che a differenza di tutti gli altri, non deve essere mangiato, ma soltanto masticato. L’invenzione nell’800 della gomma da masticare moderna viene attribuita al Generalissimo e presidente del Messico, Antonio López de Santa Anna. Ma fu William Semple, che brevettò la prima ricetta di gomma da masticare nel 1869; praticamente sconosciuta in Europa, vi arrivò per la prima volta assieme ai soldati americani. Ma la vera suspense per una bambina come me di fronte alla calza della Befana, era trovare il carbone. Pesare tra le mani l’involto del carbone voleva dire quantificare quanto fossi stata buona e dovevo essere stata, almeno agli occhi della Befana, una bimba bravissima perché  il pezzo era sempre piccolo e, il carbone didattico della zia Maria, si scioglieva in bocca come zucchero al gusto liquerizia.

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