07/04/2020

Non so cosa pensate della mia foto che appare quotidianamente sul blog. Sappiatelo, non ne sono responsabile, l’ha scattata e scelta mia nipote Lorenza che è una fotografa professionista e una brava ritrattista. Io trovo un po’ inquietante apparire con quella stessa faccia ogni giorno, e qui bisogna essere sinceri: ultimamente non sto mettendo il rossetto che peraltro adoro, i capelli sono un po’ più corti e gli occhiali che uso per scrivere al computer sono altri. E’ una foto dell’anno scorso e, a mio avviso, è una bella foto.

Penso che il ritratto sia genericamente ogni rappresentazione di una persona secondo le sue fattezze e sembianze, ritengo che l’impulso al ritratto nella cultura visiva dell’uomo resti un fatto spontaneo e primordiale. Walter Benjamin filosofo e saggista che scrisse tra le due guerre un libro sulla fotografia, dice: la rinuncia alla figura umana è la più difficile di tutte le cose per la fotografia. Del resto, a pensarci bene, e senza scomodare illustri pensatori, il foto ritratto fornisce il supporto visivo, se così si può dire, su cui è costruita la narrazione dell’identità di ognuno di noi, carte d’identità, foto ricordo, foto di eventi e anniversari che hanno segnato la nostra vita… sono tutte immagini che fanno da cornice all’individuo.

Ebbene, chiunque guardi i miei album di foto, e io stesso, quasi non mi si riconosce: io bambina, io con il tutu’, io a 18 anni, io sposa, io madre, io ora…: ogni volta una sconosciuta.

 

 

 

 

 

 

 

Non so come accade che qualcuno crescendo si assomigli e si riconosca mentre altri molto meno. Non lo so e nemmeno me lo spiego, certo da ragazzina un po’ mi turbava, oggi, beh oggi, sinceramente, mi piace. Così come mi piace cambiare spesso taglio di capelli, abbigliamento, accessori e il famoso rossetto… il mio direi che è un non-look. Ma perché tediarvi con questo egocentrico diario? Fondamentalmente perché abitando ora in albergo al quinto piano nell’appartamento senza cucina (ve la ricordate la canzone di Sergio EndrigoLa Casa”?!) in cui vivevo con la mia famiglia (mamma papà sorella fratello nonna materna e un pio di zii anziani) ho (RI)trovato di tutto: abiti, foto, dischi, libri, quaderni, lettere e cartoline, ombrelli, borse e valige… Cose vecchie insomma ma cose da salvare se sono ancora lì dopo oltre 50 anni. Oggetti accumulati, grazie agli ampi spazi, fino all’altro ieri, anche da me; un magazzino di roba mai buttata che ho visto toccato vissuto sentito. Un mondo ingombro di cose che possiedono ancora un senso. Oggetti che hanno un peso e senz’altro il peso delle cose perdute.

2 Comments

    1. abanoritz Post author

      In realtà, cara Stefy, mi accorgo che parlare del “ritz” è un po’ come sfogliare l’album di famiglia. Pensa che la foto mentre ballo con lo zio Aldo è dei miei 18 anni, ovvero del… fai i conti tu cara Ciuffi!

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