03/05/2020

Man mano che aumentano le sollecitazioni esterne, avvicinandosi giorno dopo giorno il momento in cui ritorneremo a essere liberi, mi domando: liberi DI fare cosa? Ma soprattutto liberi DA cosa? Sono turbata e dis-turbata da questa strana “urgenza” che mi distoglie dalla mia libertà di scrivere, figlia della solitudine e della libertà da scadenze e contingenze del quotidiano vivere, che tengono prigioniero il mio tempo e le mie passioni schiacciate da quel senso di responsabilità che provo PER il “ritz” che è casa e valori, famiglia e business. Tanta roba, troppa anche per le preposizioni italiane che hanno il compito di mettere in RELAZIONE le due parti di una frase e dunque le due parti di un pensiero specificando un rapporto reciproco e la funzione sintattica della parola, locuzione o frase che la segue. DI/A/DA/IN/CON/SU/PER/TRA/FRA sono le preposizioni semplici che però semplici non sono visto che, nella nostra grammatica, non rispondono a regole precise.

Ieri, dopo una delle sempre più frequenti call conference, mi son detta che almeno una scappata a casa dovrei farla dopo oltre un mese dalla mia fuga. Ci ho dormito su perché mi inquieta e sconcerta interrompere, se pure per poche ore, questa mia vita che alberga, è proprio il caso di dirlo, più nella mia testa avventurosa che nella realtà del “ritz” vuoto e svuotato in cui risiedo.

Abito nell’antico Ghetto di Padova. La bellezza del Ghetto sta nelle sue vie anguste, nelle suggestive facciate di alcuni palazzetti, nelle altissime abitazioni, nelle botteghe e nei bacari che la animano. Si trova a sud della Piazza delle Erbe e si snoda in un labirinto di strade strette che formano appunto il Ghetto Ebraico. E’ dal XII secolo che i primi ebrei iniziano ad insediarsi a Padova ma è dopo la metà del ‘300 che la comunità cresce e si sviluppa, grazie anche alla nascita dell’Università che, a differenza di tutte le altre, in Italia e in Europa, ha sempre accettato studenti di ogni religione.

Le case del quartiere, eterogenee e spesso ricche di elementi di recupero, si sono sviluppate in altezza, ma conservano ancora l’impianto romanico e i tipici portici. Curiose le 4 colonne con capitelli tutti diversi in via San Martino e Solferino, di fronte all’imbocco di via dell’Arco. In questa via si trova l’Hotel Majestic Toscanelli un tempo sede dell’Accademia Rabbinica. Sempre in via San Martino e Solferino, subito dopo l’incrocio con via delle Piazze, si trova la sinagoga di rito italiano, di fronte a essa, a sinistra e in alto, si può vedere un loggiato con 6 colonnine bianche: lì c’era la sinagoga di rito spagnolo. Solo alla fine dell’800 i tre riti furono riuniti nella grande sinagoga di rito tedesco che sorge appunto in Via delle Piazze. Ecco io abito in una mansarda, che scovò la mia mitica sorella 5 anni fa, in questo trivio che brulica di storia e di vita. Mi sento bene in questo quartiere così centrale ma lontano dal chiasso delle piazze, alla giusta distanza dai ricchi Palazzi delle Signorie e dai caffè del Centro che si mostra e ti mostra. Autosufficiente e orgoglioso, questo angolo di Padova mi appartiene, ma io non gli appartengo, non sono a Padova le mie radici dove pure ho studiato per 9 anni e vissuto per metà della mia vita. La prima parte l’ho trascorso ad Abano ma, onestamente, l’unica vera aponense era la mia nonna materna. Ad Abano c’è la mia vita lavorativa, senz’altro invadente e ingombrante, ma le mie radici restano al “ritz”.

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