La pasta è architettura per la bocca e infatti ne esistono oltre 300 formati. Ognuno dà il meglio di sé con alcuni condimenti… e non con altri. Una guida dei pastai di AIDEPI (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) racconta i segreti di estrusione e trafilatura e presenta le regole del gioco per trovare l’equilibrio perfetto tra texture del formato, condimento e modalità di cottura della pasta.
La pasta è cosa seria.
Siamo leader mondiali di produzione (3,2 milioni di tonnellate) e consumo (24 kg a testa) di pasta. Ogni regione, ogni campanile ha la sua ricetta simbolo, ogni italiano ha il suo formato preferito. Ma al di là di alcune nozioni di base, non tutti sanno che certi formati danno il meglio di sé con determinati tipi di sugo e non con altri. E che esistono regole precise per l’abbinamento.
Regola numero uno: nella pasta, la forma è sostanza. Formati diversi hanno comportamenti diversi in cottura, e una resa differente al palato, sia in termini di gusto che di consistenza. Un solo elemento, anche piccolo, cambia tutto: la curvatura di un formato, un profumo nel sugo, tempi e modi di cottura (classica, ripassata in padella o risottata, reidratata), perfino il modo di servirla nel piatto.
La valutazione dei pastai
I pastai italiani sottopongono i formati a diversi test che ne verificano tenuta in cottura, resistenza alla masticazione, aspetto e “solidità” del formato. E naturalmente, la funzionalità dell’abbinamento con la salsa. Ci sono parametri specifici da rispettare e la valutazione ha molto a che fare con la sensibilità, l’esperienza e il DNA di noi italiani. Per quanto tempo la pasta si mantiene buona, oltre il tempo di cottura ideale? Per quanto mantiene la sua forma dopo la cottura? La consistenza è uniforme?
Il grande Gualtiero Marchesi inventa a inizio millennio un piatto iconico come “Quattro paste”: quattro formati diversi al centro del piatto, conditi allo stesso modo, solo con un filo d’olio e formaggio grattugiato, per un piatto da leggere con la bocca prima che con gli occhi al fine di apprezzarne differenze di cottura, consistenza e sapore.
Ad ogni salsa il suo formato: grandi classici e qualche esperimento
Alcuni abbinamenti sono figli di tradizione e consuetudini secolari. Tra le coppie fisse, gli spaghetti con aglio olio e peperoncino o con il sugo al pomodoro, le trofie con il pesto, le tagliatelle con il ragù alla bolognese, gli ziti con la salsa genovese. Altre sono coppie più aperte: come la carbonara che la tradizione vorrebbe con lo spaghetto, ma sempre più spesso si concede scappatelle con rigatoni e mezze maniche.
Ma come orientarsi con gli abbinamenti più quotidiani o creativi? Sono quattro i parametri da tenere d’occhio: la trafila, il formato, la capacità di contenere sughi e l’intensità al palato. Perché, in base al formato (rigato, liscio, bucato, spesso o sottile), l’esperienza gustativa è differente ed è necessario comportarsi in maniera adeguata.
In genere, i formati più “gentili” (come le farfalle) si abbinano meglio con condimenti leggeri e freschi, come una pasta fredda con le verdure. Formati più strutturati (tortiglioni o bucatini), sposano salse robuste, ragù di carne o amatriciana. Formati grandi, come paccheri e ziti, sono ideali per condimenti che sappiano unire eleganza e consistenza, mentre le mezze maniche sono una pasta più “quotidiana” e versatile, adatta a sughi pratici e veloci ma anche alla struttura di una carbonara. E ancora, la superficie porosa o rigata cattura meglio i sughi più sciolti, mentre una texture più liscia è perfetta con sughi più “avvolgenti”. La larghezza di tagliatelle e pappardelle tende a “spalmarsi” sulla lingua e quindi chiama un sugo saporito (come il ragù di cinghiale). Mentre le conchiglie raccolgono alla perfezione come in uno scrigno i sughi leggeri al loro interno.
Per maggiori informazioni e consigli sugli abbinamenti, visita il sito AIDEPI.