Slutwalk: le marce di protesta contro chi giustifica lo stupro

Le slutwalk sono marce di protesta in difesa del diritto delle donne di girare per le strade vestite come pare a loro, senza per questo rischiare di essere stuprate “giustificatamente”.

"Slutwalk contro la violenza sulle donne"Le Slutwalk, partito a Toronto il 3 Aprile 2011 in seguito all’affermazione dell’ufficiale di polizia Michael Sanguinetti che ha dichiarato: “Le donne dovrebbero evitare di vestirsi come delle sgualdrine (slut)“, ha dato il via ad un movimento globale. In India per esempio queste marce hanno assunto un’importanza capitale per denunciare agli occhi del mondo la situazione degli stupri in quel Paese, uno dei reati in forte ascesa. L’88% delle donne indiane dichiara di aver subito molestie sul posto di lavoro. Si è calcolato che dal 1981 il reato di stupro in India sia aumentato del 678%. Su questa strada anche il film di denuncia Gangor. In India anche le violenze sul luogo di lavoro sono aumentate soprattutto in seguito all’esternalizzazione di molti servizi e della manodopera.

Ecco un video con le recenti proteste a Delhi

In poco tempo il movimento Slutwalk è diventato il più importante fenomeno femminista degli ultimi ventanni. Con queste premesse le Slutwalk si preparano forse ad arrivare anche in Italia visti gli ultimi insuccessi del Vademecum antistupro promosso dal Comune di Roma che prevedeva proprio metodologie osteggiate dalle slutwalkers: “Non vuoi essere stuprata? E non girare da sola per strada“. Si può dire che la protesta sia lì lì per essere assorbita anche nel nostro Paese dopo la protesta ideate da alcune donne romane durante l’evento del 27 luglio “La violenza ha le chiavi di casa“.

Questa protesta intende portare l’attenzione della popolazione e dell’opinione pubblica sul diritto di esercitare le libertà fondamentali condannando ogni forma di giustificazione di determinati reati, giustificazioni che colpevolizzano la vittima.

Anche se molti Paesi hanno accolto favorevolmente il fenomeno, molti lo hanno anche criticato, giudicandolo eccessivo e ponendo l’accento che porre limiti sul modo in cui ci si  veste non è una prevaricazione dei diritti di libertà personale, bensì un semplice atto di gestione del rischio di violenza sulle donne.

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