Poltergeist: un blog sulla televisione Americana

Una delle principali realtà culturali degli ultimi decenni è sicruamente quella offerta dalla televisione americana. Abbiamo trovato in giro per il web un blog interessante che parla della cultura pop presente nella televisione degli States.

"Blog Poltergeist"Si chiama Poltergeist e abbiamo selezionato un articolo che parla della serie televisiva Mad Men, incentrata sul mondo della pubblicità degli anni ’60 quando sono nate tutte le innovazioni pubblicitarie del secolo. Creatività, donne oggetto, mito self made man, e tutti i cliché più beceri e maschilisti della cultura americana criticati e analizzati in questa serie dal tocco originale e vintage. Ma ecco cosa ne dice Nefeli nel suo post:

La nostalgia, così come è vissuta in America dalla boom generation, è la sensazione che il tempo che precede la maturità sia stata una parentesi paradisiaca, una sorta di semplificazione della vita quotidiana. È una vita che non si proietta nel futuro ma che spera nel ritorno del passato, quell’età dell’oro che non è mai stata, quel sogno vissuto attraverso la mistificazione dei fumetti, dei film polizieschi e del conseguimento di quella forma di libertà che è il ritorno al grado zero dell’esistenza: l’istinto, il piacere, il sogno.

Mad Men (abbreviazione di Madison Avenue Men) è la serie che celebra quell’età immaginaria, quell’inventata innocenza americana in bianco e nero prima dell’assassinio di Kennedy, della guerra fredda, del Watergate, l’incisione su lastra d’argento di un mondo in cui era permesso essere incoscienti, razzisti, egocentrici e malsani. Ma gli americani sono stati innocenti quanto lo siamo stati tutti da bambini – forse l’innocenza sta in quei pochi attimi di peccato in cui il desiderio di infrangere contempla l’oggetto rotto prima di averlo scaraventato a terra.

Matthew Weiner, il creatore della serie, è nato nel 1965 e di quel mondo dorato non ha sentito che racconti, storie di seconda mano ed è forse per questo che il telefilm si snoda come una favola, un ovattato esercizio in political incorrectness che noi del pubblico perdoniamo perché siamo, come Weiner, figli dei Mad Men.

Sono maschilisti e qualunquisti i creativi della più importante agenzia pubblicitaria di New York. E sono tutti uomini – una sola donna è parte, seppur marginalmente, del gruppo ed è trattata come le segretarie, un semplice «incrocio tra una cameriera e una moglie». I loro figli vengono puniti a schiaffoni da figure maschili sostanzialmente assenti e con la compiacenza di madri che, anche all’8˚ mese di gravidanza, preparano pranzetti luculliani sorrette da infiniti bicchieri di whiskey e instancabili sigarette. L’elemento d’attrattiva più forte per il pubblico è una certa condiscendenza e una sottile invidia da parte degli autori della serie nel ritrarre i comportamenti sregolati dell’era post-McCarthy.

La figura centrale della serie è la coppia e non l’individuo, come una serie con un protagonista singolo vorrebbe indurre a credere. Uomini e donne, assortiti in vario modo, non sono che incerte figurine dai piedi troppo piccoli in disperata attesa di un’altra figurina, seppure malcerta quanto lo sono loro, a cui appoggiarsi. La loro vita, dopotutto è fatta di gran bevute (e che tristezza bere soli), di scappatelle tentate o riuscite (a che serve poi la scappatella se non la si può raccontare…) e di quella violentissima amarezza che ha portato alle violente lotte dei tardi anni ’60 (una violenta amarezza, lo sappiamo bene, non è che depressione se non si ha nessuno a cui raccontarla). La coppia di riferimento è indubbiamente una coppia dark: Dan Draper, il fascinoso protagonista in odore di Chandler, ha assunto una nuova identità dopo esser stato dichiarato morto in combattimento durante la II guerra mondiale mentre la sua mogliettina apparentemente perfetta nasconde il cuore nero di una serial killer ammansita dalla libertà di guidare in stato di ebbrezza e di poter accusare i figli delle sue stesse manchevolezze di genitore. Entrambi sognano una età dell’oro che non hanno mai avuto ma che astrattamente pongono in un passato che potrebbe essere stato il loro, o almeno così gli è stato detto; non è strano, dunque, che vi sia una disperazione insaziabile nell’immagine che hanno del futuro: se tutto il bene risiede in un passato che altri hanno inventato per noi e di cui, in sostanza, non abbiamo memoria, il futuro non può che essere una delusione, perché non sappiamo con cosa costruirlo.

 

Mad Men è una serie atipica e non soffre degli ascessi di moralismo che avvelenano tanta televisione americana – e questo si deve non solo al soggetto trattato che permette tante libertà, ma anche al coraggio del canale AMC, una rete che si è fatta notare per la spregiudicatezza delle sue serie (Breaking Bad è la sorella cattiva di Weeds, dopotutto, e in questo senso AMC ha scavalcato Showtime nella corsa alla serie che tratti della droga nel modo più sconveniente possibile). Weiner e il suo gruppo sono anche autori che hanno lavorato a lungo alla serie I Soprano. Se si esclude l’ironia, incomprensibilmente assente dalla serie, Mad Men condivide con i Sopranos il fascino di una serie che permette un’allegra invidia per una società che, sebbene oggi sia apertamente condannata, è lo spettacolo che tutti vogliono vedere alla sera in televisione per vivere indirettamente le libertà altrui. E se in parte scuotiamo la testa alle enormità anti-moderne che affollano la serie, in fondo in fondo, quando siamo davanti al televisore di casa che trasmette un episodio di Mad Men ci troviamo un po’ tutti nei panni degli ex fumatori che siedono sospirando accanto a un amico con la sigaretta accesa.


di nefeli

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