Walter Tobagi è morto a Milano il 28 maggio 1980, assassinato sotto casa da una semisconosciuta formazione terroristica. Era una delle firme più prestigiose del «Corriere della Sera». Aveva trentatre anni. La figlia Benedetta aveva tre anni. Era lì. Oggi Benedetta vuole capire. Con forza, con delicatezza, ricostruisce la figura pubblica e privata del padre in un racconto che intreccia spietate vibrazioni intime ad analisi storiche lucide e rigorose. Cercando di comprendere cos’erano gli anni Settanta.
Un libro tenero e terribile in cui batte il cuore di un padre ritrovato.
COME MI BATTE FORTE IL TUO CUORE
Edizioni Einaudi
di Benedetta Tobagi
A cura di Federica Pozzi – Libreria Al Capitello, Venezia
Seduta nella splendida sala del Gran Teatro La Fenice di Venezia, ascolto una bella e giovane donna: capelli ricci, occhiali, maglione arancio.
Mentre parla del libro che ha dedicato a suo padre, mi rendo conto di quanto la storia della vita di questa donna sia stata segnata dalla Storia, quella con la S maiuscola del nostro Paese, mi rendo conto che è lei la Virtuosa di cui voglio raccontare.
Benedetta Tobagi, figlia di quel Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera assassinato nel maggio del 1980 dal terrorismo di estrema sinistra.
La Tobagi ha ricevuto da poco il premio Antico Pignolo e sta con grande semplicità ed immediata freschezza raccontando del suo libro e di quanto ha voluto dire con esso.
Leggendo “Come mi batte forte il tuo cuore” conosciamo un uomo e un padre che le è stato tolto troppo presto e con troppa violenza.
Il libro è uno strumento che ci aiuta a decodificare gli anni ‘70 attraverso la figura, non di un martire, non di un eroe, ma di un giornalista che venendo da studi storici sapeva guardare alla realtà di quel periodo con un approccio analitico e soprattutto non ideologico che per quegli anni era un punto di vista di forte rottura.
Secondo la Tobagi è importante ricordare in questo momento storico, in cui la nostra società è avvelenata dal cinismo, il pensiero del padre che fu ucciso perché i terroristi fecero di lui un simbolo deumanizzandolo, colpendolo in quanto voce capace di analisi pacate ma ferme.
L’autrice ci invita a saper guardare con gli occhi degli altri, a saper fare dell’altro, non un nemico, ma un avversario, ad empatizzare senza assolutizzare o sclerotizzare le identità diverse da noi per farne il capro espiatorio delle nostre paure.
Venezia, 14/11/2010
Federica Pozzi