Donne e politica: la storia di Malalai Joya

Oggi, nella rubrica “Donne e politica” vi proponiamo la storia di Malalai Joya, una donna che ha avuto il coraggio di sfidare apertamente i signori della guerra Afghani.

"Malalai Joya"Quando nel 2003 la 25enne Malalai Joya della provincia Afghana di Farah venne scelta per parlare all’interno del Loya Girga, il tradizionale gran consiglio Afghano sotto un tendone nelle periferie della capitale assieme ad altri 500 convocati fra capi tribù e comandanti Mujaheddin, non si aspettava di trovare tra gli esimi rappresentanti del popolo afghano tanti signori della guerra.

Perciò, quando toccò a lei parlare, si espresse con queste parole:

“Il mio nome è Malalai Joya della provincia di Farah. Con il permesso degli stimati presenti, in nome di Dio e dei martiri caduti sul sentiero della libertà, vorrei parlare un paio di minuti. Ho una critica da fare ai miei compatrioti, ovvero chiedere loro perché permettono che la legittimità e la legalità di questa Loya Jirga vengano messe in questione dalla presenza dei felloni che hanno ridotto il nostro Paese in questo stato. (…) Essi sono coloro che hanno trasformato il nostro Paese nel fulcro di guerre nazionali ed internazionali. Nella nostra società sono le persone più contrarie alle donne, e quello che volevano… (clamori, si interrompe). Sono coloro che hanno portato il nostro Paese a questo punto, e intendono continuare nella loro azione. Credo sia un errore dare un’altra possibilità a coloro che hanno già dato tale prova di sé. Dovrebbero essere portati davanti a tribunali nazionali e internazionali. Se pure potrà perdonarli il nostro popolo, il nostro popolo afgano dai piedi scalzi, la nostra storia non li perdonerà mai.”

Ne seguì un tremendo scandalo e si incolpò Malalai di aver minato la reputazione degli uomini barbuti, gli uomini della Jihad. Cominciarono a insultarla e ingiuriarla con appellativi poco consoni: “Prostituta e comunista”. Inoltre si cercò di estrometterla dal Loya Girga. Solo l’intervento delle altre donne delegate impedì che ciò avvenisse. Scelta innanzi tutto proprio per portare all’attenzione dei governanti afghani la situazione femminile in quella Nazione, questa assistente sociale di Farah, provincia ai confini con l’Iran, decide contro ogni previsione di non arrendersi.

E anzi si candida alle parlamentari. Questa scelta l’ha premiata assegnandole uno dei 229 seggi. Condannata a morte dai suoi nemici, Malalai ha espresso soddisfazione per il seggio ottenuto che le darà modo di portare a termine il suo compito di estromissione dei signori della guerra dai vertici politici Afghani. Ha espresso anche il timore di non giungere viva fino a Kabul, tale è l’odio che covano in seno i suoi oppositori.

Intimidazione e violenza sono all’ordine del giorno in quella terra e l’Afghanistan appare lontano da un vero processo democratico. Casi come quello di Malalai sono rari. Generalmente i signori della guerra con minacce e maltrattamenti riescono a convincere gli elettori a votarli.

Dice ancora Malalai Joya: “Capii che la mia missione era far sentire la voce del mio sofferente popolo contro quei criminali che in nome dell’islam hanno distrutto le nostre case, ucciso la nostra gente, calpestato i nostri diritti e rovinato le nostre vite, e che continuano a farlo in nome della democrazia e con il sostegno dei governanti americani ed europei, che hanno abbattuto un regime criminale solo per sostituirlo con un altro regime criminale.”

(Il resto dell'intervista è disponibile sul sito di PeaceReporter.) 

Malalai ha solo la sua voce per combattere i signori della guerra che ancora oggi infestano e minano la democrazia di quel popolo. La userà, dice, per combatterli e denunciare tutti i loro crimini: passati o presenti.

La figura di questa donna ci è parsa subito importante perché pone fondamentali e importanti interrogativi su cosa stia avvenendo effettivamente in Afghanistan dove, a detta del governo,  i nostri soldati sono dislocati per portare la pace. Quale pace è possibile in una Nazione in cui i signori della guerra sono ai vertici della politica? Con quali strumenti di pressione internazionale si può impedire che ciò avvenga? Cosa può fare l’Italia per impedirlo? A queste domande è tempo di dare una risposta.

Scritto da M. F.
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