Eleonora Cozzella a piccole porzioni

di Luca Bonacini

Cura il sito Food&wine dell’Espresso scrivendo gli articoli di punta; segue i principali convegni internazionali per capire le tendenze dell’enogastronomia mondiale; gira tutta la settimana per le migliori trattorie e ristoranti d’Italia e d’Europa per individuare o confermare le eccellenze, e scovare le nuove promesse. Un lavoro duro quello di assaggiatore di professione, ma chi non vorrebbe essere al suo posto? Eleonora Cozzella ispettrice della Guida ai ristoranti dell’Espresso, tanti chilometri in auto che la portano ad incontrare chef paludati ed emergenti ancora poco noti. Dalla linea invidiabile, non si direbbe che trascorre il suo tempo ad assaggiare e a scrivere, forse perché assolve alla prima regola del degustatore di professione, assumere solamente piccole porzioni, al contrario di me che parto con le migliori intenzioni e invece poi il piatto lo finisco sempre.
Ma non si arriva a ricoprire un ruolo di cosi grande responsabilità se non si è percorso un lungo tratto di strada preoccupandosi di acquisire le competenze necessarie, come i numerosi master a cui ha partecipato dopo la laurea in Filosofia alla Sapienza e la specializzazione in Giornalismo alla Luiss. Sommelier Fisar, assaggiatrice di caffè e di formaggi e profonda conoscitrice delle tipicità italiane e della grande tradizione enogastronomica del nostro paese, che le ha fruttato un prestigioso incarico quello di presiedere la giuria italiana del premio internazionale The World’s 50 Best Restaurants, coordinando 35 tra chef, giornalisti, foodies, gourmet, che votano i sancta sanctorum della cucina internazionale in un esclusiva e trasversale classifica che va oltre le guide più accreditate.
Dal 2007 cura il sito Food & Wine dell’Espresso, collabora con la pagina Gusto del quotidiano Il Tirreno, La tavola del settimanale L’Espresso, la rivista di alta gastronomia Cook.inc, oltre ad essere collaboratrice di riviste giapponesi, tedesche e spagnole. Una donna brillante e competente che si confronta con i palati internazionali più accreditati normalmente maschili, e ama aggiornarsi e confrontarsi continuamente sui temi dell’enogastronomia, credendo profondamente in una mission, dare sempre più autorevolezza alla cucina italiana, che negli ultimi anni ha raggiunto vette indiscusse, ma ha ancora bisogno di attenzione dalle istituzioni per progredire sempre più nei contesti internazionali.

La sua è una professione bellissima,  che molti vorrebbero intraprendere,
ci racconta come si è avvicinata al mondo del food e quale è stato il suo percorso professionale ?
Fin da bambina ero appassionata di cucina, giocavo a fare la cuoca quando c’erano le prime trasmissioni di cucina in tv, e facevo il verso alla conduttrice Wilma De Angelis, spiegando le ricette alle telespettatrici. Dopo le medie avrei voluto fare l’alberghiero ma i miei non erano molto d’accordo per tradizione familiare e volevano il Liceo Classico. Mi lasciai convincere, del resto le lettere erano l’altra mia passione. Mi sono laureata in filosofia, sempre continuando a coltivare l’hobby della cucina, frequentando corsi di food, di sommelier, master sul caffè, e i formaggi, coinvolgendo i miei amici con cui andavo alle inaugurazioni di nuovi locali, programmando per andare nel tal posto dove c’era una particolare cucina. Ero quella che oggi chiameremmo foodie, sempre alla ricerca di prodotti tipici particolari, facevo la spesa nelle botteghe artigianali, per la curiosità di trovare il cibo tipico, che avesse un’identità. Mentre studiavo, collaboravo da Civitavecchia al Messaggero e in una emittente locale sempre della città, sono diventata pubblicista e dopo la laurea ho frequentato la scuola di specializzazione della Luiss per diventare giornalista professionista. Due passioni che mi hanno sempre accompagnato: il cibo e lo scrivere. Ho così iniziato a collaborare ad Affari e Finanza di Repubblica. Poi ho avuto l’occasione di una sostituzione al portale Kataweb del gruppo Espresso e lì di iniziare a seguire professionalmente il settore dell’enogastronomia. Ho curato così dal 2005 il sito Kwcucina a cominciare e poi ho proseguito questa avventura quando il sito è passato sotto la testata dell’Espresso, con la nascita di Espresso Food & Wine. Ho avuto la fortuna di trovarmi al momento giusto nel posto giusto, e di incontrare Enzo Vizzari, curatore della Guida dell’Espresso, a cui devo moltissimo avendomi introdotto e seguito nel  mio apprendistato in questo modo. Ho poi iniziato a collaborare anche con l’Espresso settimanale, e oggi ho una rubrica sui ristoranti toscani – la mia base è Livorno – sul quotidiano Il Tirreno. In mezzo a tutte queste esperienze è arrivata anche la proposta di collaborare per la rivista inglese Restaurant Magazine alla classifica dei 50 migliori ristoranti del mondo. Un’avventura bella e stimolante, che mi ha consentito anche di approfondire le mie conoscenze internazionali. E da 4 anni coordino per l’ Italia il panel dei votanti, composto da 35 tra giornalisti, chef, ristoratori e gourmet.

Nella sua carriera, incontra tante persone, ci vuole raccontare di tre in particolare che professionalmente e umanamente l’hanno colpita ?
Mi capita spesso di conoscere persone con un profondo coinvolgimento emozionale verso la propria attività, che riescono a trasmetterlo anche a me, nella stessa settimana posso incontrare un ristoratore piemontese,  un casaro siciliano, un pasticcere lombardo o un vignaiolo toscano. Ma tra le persone importanti nella mia vita professionale c’è sicuramente Enzo Vizzari che mi ha insegnato tantissimo dal punto di vista della critica gastronomica, e considero il mio maestro. Un altro è Ferran Adrià. Mi colpi molto a Identità Golose, quando si presentò con un mini pimer (era l’anniversario dell’invenzione del frullatore a immersione sul quale hanno poi fatto un museo), e lui disse “tutti mi dicono che ho rivoluzionato la cucina, ma secondo me la vera rivoluzione si fa con tanti piccoli gesti e con questo strumento che ha veramente sovvertito la cucina”. Mi ha colpito la sua umiltà e generosità, la sua voglia di condivisione. E la sua capacità di riconoscere le qualità degli altri. Una sera che ho cenato nel suo ElBulli mi disse: “E domani non può non andare al Cellar de Can Roca che è il migliore ristorante del mondo. Perché il mio locale è un’altra cosa”. Infine, vorrei citare, non certo per la conoscenza personale ma per quanto rappresenta,  Gualtiero Marchesi che ha appena compiuto 83 anni: con lui c’è un prima e un dopo nella cucina contemporanea. Può piacere o meno, ma è innegabile il suo ruolo come spartiacque nella storia della gastronomia nel nostro Paese.

Quali sono i suoi tre vini e tre piatti preferiti ?
Tra i vini che prediligo c’è un grande rosso, il Sirah dei Tenimenti d’Alessandro; poi essendo nata in Sardegna non posso non avere la passione per il Cannonau (vitigno che in Francia prende il nome di Grenache, protagonista del Cremant Chatenauf du Pap) in particolare quello dal gran carattere della cantina Dettori; tra i Bianchi amo particolarmente il Cervaro della Sala; e ho un debole per il Ferrari Perlè Rosè.
Sul fronte del food, non ho preclusioni e sono una grande amante dei primi piatti, pasta e risotti. Dovendo scegliere alcuni piatti direi: il risotto alla milanese con riso Carnaroli e rigorosamente il midollo o un gran spaghettone all’amatriciana (nella versione di Davide Scabin, magari); adoro tutto ciò che rientra nel cosiddetto “quinto quarto”, in particolare le animelle; e come dessert sono di recente rimasta folgorata dalle candele al cioccolato del grande Fulvio Pierangelini, ripiene di uno speciale mix di cioccolato, rosmarino, spezie; in ultimo ma non in ultimo adoro la cassata siciliana.

Quale è la situazione della cucina italiana oggi ? Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro della ristorazione ?
Dalla qualità che è l’essenza della nostra cucina possiamo aspettarci solo una strada di successi. La nuova cucina italiana, come l’ha a suo tempo descritta Vizzari, una interpretazione in cui mi ritrovo molto, valorizza le diverse identità regionali interpretando il passato alla luce delle moderne tecniche. I cuochi si stanno impegnando tanto, e lo fanno con una ritrovata cultura e una consapevolezza. Basti pensare a come è cambiata la loro immagine. Si è passati dal luogo comune del cuoco rubicondo con baffetti, pancetta e il grembiule sporco, a chef che sanno parlare diverse lingue, girano il mondo, sono esperti di vini, che sanno gestire una cantina, che conoscono ragioni e tecniche di ieri e oggi sanno interpretare. Però non basta la consapevolezza, siamo coscienti di avere una grande cucina ma non riusciamo a comunicarlo abbastanza bene. Come è accaduto al Bocuse d’Or, è impossibile pensare che il 20° posto degli italiani con la Locanda Margon sia rappresentativo della nostra cucina, nelle case italiane si mangia mediamente molto meglio che nel resto del mondo. I governi, le istituzioni, le Ambasciate devono sostenere queste operazioni, perché è tutta l’Italia che viene rappresentata. I nostri chef devono contare su sponsor privati per partecipare a eventi e concorsi internazionali, mentre i colleghi all’estero hanno le istituzioni a loro sostegno. Sarebbe bello avere le risorse e l’organizzazione per esportare all’estero la nostra cultura alimentare.

Il caso del Noma di Copenaghen ha fatto molto discutere, cosa ne pensa?
E’ accaduto l’imprevedibile. Conosco chef che hanno lavorato recentemente al Noma, e tutti mi hanno confermato che c’è una pulizia, un ordine, un rigore che rende impossibile pensare a incuria da parte del gestore. Non voglio giustificare nessuno, ma Renè Redzepì, che si è preso le sue responsabilità, risarcirà tutti e 60 i clienti intossicati, e ha pagato la multa. Queste cose non dovrebbero succedere, al di là del Noma, in nessun locale. Ma l’imprevedibile è tale per definizione. È chiaro che non c’è stato dolo, e sembra che sia stato un dipendente che pur avendo un’ influenza intestinale, è andato a lavorare lo stesso. Poniamoci semmai il problema di quanta tensione c’è in questi ambienti, dove avere un posto in stage è una meta molto ambita. Pare che il dipendente fosse asintomatico. Ma magari era solo un giovane, che pur stando male, non voleva assentarsi per non perdere il suo piccolo ‘posto al sole’ in ogni caso le autorità sanitarie sono corse subito, hanno fatto sanificare gli ambienti ed elevato la multa, non c’è stata chiusura. Purtroppo ogni tanto succede, nel 2009, una settantina di intossicati al Fat Duck di Heston  Blumenthal, che venne chiuso, perché non si era capito cosa era stato a provocare problemi intestinali ai clienti. I fondamentalisti della tradizione insorsero dicendo che era colpa della “cucina molecolare”, e invece si seppe che era stato un dipendente influenzato che non l’aveva detto.

Ci sono stime che parlano della presenza delle donne nella ristorazione e nella hotelerie o nel mondo del vino ? Secondo lei servirebbero anche qua le quote rosa, o l’autodeterminazione delle donne basta a sé stessa ?
Le quote rosa ce le stiamo prendendo. La situazione è buona se consideriamo che il problema del lavoro delle donne esiste in ogni ambiente lavorativo. In fondo fino al 1948 le donne non potevano votare… e fino a poche decine di anni fa le donne non potevano entrare in magistratura. Voglio dire, che la strada l’abbiamo conquistata in ogni settore. Magari per la cucina è stato più difficile emanciparsi dal ruolo di “angelo del focolare” e farsi riconoscere come professionista, l’uomo non ha dovuto passare queste tappe, e quando ha voluto iniziare a cucinare l’ha fatto subito da professionista, da chef. Comunque i grandi nomi che ce l’hanno fatta non mancano. Tra le giovani, per esempio, mi vengono in mente Aurora Mazzucchelli, Cristina Bowerman o Loretta Fanella. Lei è un grande esempio, occhioni azzurri, bionda, non potresti mai immaginare la forza che ha. E’ stata da Pinchiorri, e da Cracco, è dotata di una determinazione, e di una forza psichica e fisica incredibili, arrivata giovanissima da Adrià in pochi mesi è diventata pastry chef, con orari e ritmi incredibili. Lei, Mazzuchelli e Bowerman sono la dimostrazione che se una ha le capacità e mette tutta sé stessa non ci sono discriminazioni che reggono.

Cosa consiglierebbe a una giovane donna che vuole intraprendere la sua strada?
Occorre prepararsi molto, mettere grande passione prima di tutto e fare un percorso intenso di conoscenza, e magari specializzarsi in particolare in un argomento, perché i tuttologi oggi non servono più.

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