Per quanto ricca sia la nostra lingua, l’italiano resta una delle poche, se non l’unica lingua che pone chi ospita e chi è ospitato sullo stesso piano, stessa parola per un patto non scritto di reciprocità. Vinci se fai vincere… se ci pensate, e io ci sto riflettendo adesso, è una cosa unica e bellissima che racchiude in sé il valore del turismo. Ci ragionavo mentre leggevo la prenotazione di un cliente affezionato: un distinto Signore, che è stato un Generale importante, e che, nel confermare il suo soggiorno con la moglie a fine agosto, per una decina di giorni, prenotava anche, a metà soggiorno, un fine settimana lungo per 12 persone! Figli, nipoti, generi e nuore riuniti al ritz per festeggiare il compleanno della Signora. La cosa mi ha toccato il cuore per tante ragioni e ancora più profondamente di questi tempi. Dopo il lockdown e con il distanziamento subìto, cercare qui l’intimità di una riunione famigliare, mi è sembrato un gesto importantissimo nei confronti del ritz; la conferma, scegliendoci, della fedeltà a questo albergo, è significativa; festeggiare un anniversario importante con noi, freschi di riapertura, esemplifica l’enunciato iniziale.
Pensare alla ripartenza dell’intero ritz, mi terrorizza professionalmente e psicologicamente. Oramai il dado è tratto, il 13 agosto si apre dopo 5 mesi di chiusura: non era mai accaduto! La celebre frase fu pronunciata da Cesare durante il fatidico passaggio del Rubicone, prima mossa verso la conquista dell’Italia e di Roma, ma pare, da alcune fonti, che Cesare abbia pronunciato la frase in greco, la lingua colta dell’epoca. Ed ecco che lo scenario che si apre è duplice: «Iacta alea est», in latino, tenderebbe a indicare una decisione irrevocabile “il dado è (ormai) gettato”, mentre lo scenario che emerge dalla versione greca «Iacta alea esto» ovvero “si getti il dado”, sposta l’attenzione verso un futuro carico di opportunità, ma anche di molti rischi.
L’incertezza c’è, ma la scelta resta. Così da lunedì 13 luglio si cominciano i lavori di riassetto e restyling, soprattutto manutenzioni, pulizie e tinteggiature. Il pittore a cui normalmente ci affidiamo è una persona squisita, piccolo di statura, molto attento, piuttosto giovane. Lavora per il ritz oramai da anni, da quando il vecchio pittore Furlan è andato in pensione, anzi ho saputo che è morto quest’inverno. Scherzando, ma non troppo, quando lo chiamiamo, al signor Alberto Gallo chiedo sempre se per caso preferisca dormire qui. Un pittore in albergo serve come il manutentore e più di un cameriere. Dovrei assumerlo! Con pazienza copre ogni striscio sui muri, li fanno i clienti soggiornando, come i collaboratori lavorando; ogni baffo sopra i termosifoni o i mobiletti dell’aria condizionata, ogni alone di umidità vicino alle porte-finestre o in bagno, ogni macchia sulle pareti della sala da pranzo o in sala colazioni, ogni screpolatura di umidità o ogni piccola fenditura di assestamento, piuttosto che ogni ritocco agli stucchi magari qualche rappezzo, stuccature varie, post intervento idraulico… Il nostro Alberto non è un imbianchino, ma, piuttosto, un pittore edile specializzato che esegue lavori di imbiancatura, coloritura, tinteggiatura… non voglio neanche provarci, ma se penso alle 120 stanze per il numero delle pareti e per le 50.000 presenze-anno direi che è una figura chiave. Da parte di mia sorella e mia non è semplicemente una questione di ordine e pulizia, ma di necessità e rispetto per il ritz. Con Alberto mia sorella parte sempre raccomandandogli di fare un ritocco, o meglio, come dice Lei, una “passatina” generale e veloce. È così che poi il pittore chiama me per dirimere questioni del tipo: faccio tutta la parete o mi limito alle imperfezioni? Lei lo vede questo graffio brutto? Questa camera la affittate poco forse non serve neanche io ci entri o, al contrario , questa è la camera più venduta meglio farla a fondo comunque? Come Ponzio Pilato la mia risposta è: chieda il via libera a mia sorella che è quella “maniacale”… lei non è solo ordinata, ma metodica e ha una logica tutta sua. Per mia sorella mettere in ordine è un modo per semplificare o probabilmente per tenere sotto controllo il mondo dentro e fuori di lei. È ordinata nel lavoro e nella sua vita.
Forse ai suoi occhi io rischio di sembrare disordinata perché non ordino per generi, e non mi comporto nello stesso modo a casa e al lavoro. Non seleziono le cose da buttare, ma semmai quelle da conservare. Se mia sorella va per categorie, io per visione generale. Se lei è creativa, io sono immaginifica. Il mio disordine non manca di organizzazione e tende a rendermi più flessibile e meno ansiosa. Gli spazi lavorativi, il mio studiolo, così come quelli personali, la mansarda in Ghetto, sono limitati, piccoli, ma mi rendo conto di essere meno caotica a casa che sulla scrivania e, in entrambi i casi, sono mentalmente sistematica. Sicuramente pecco per troppe idee e progetti incompiuti. Quello di mia sorella è un ordine svelato mentre il mio è segreto. Mia sorella è affidabile. Lei è precisa ed è questo l’aspetto che maggiormente mi affascina, è come se leggessi la sua firma emotiva in un pacco che confeziona, nell’albero di Natale che addobba ogni anno, nella scelta dei regali, nei suoi raccoglitori o nei suoi armadi. Insomma una volta di più nostra madre aveva ragione quando sosteneva di averci fatte complementari.