La legge per ottenere le quote rosa nei cda di industrie, assicurazioni e banche subisce il freno delle associazioni di categoria: le lobby maschili.
|
La legge sulle quote di genere è al vaglio del Senato: scrivi al Presidente della commissione Finanze (mario.baldassarri@senato.it) e al Presidente del Senato (segreteriagabinettopresidente@senato.it) perché vigilino affinchè non intervengano “fattori esterni” che impediscano il corretto svolgimento dei lavori parlamentari e l’arrivo della legge in Aula per la definitiva approvazione. |
Di questo disegno di legge, ora in esame alla commissione FIN e del Senato avevamo già parlato. Promosso dalla fondazione Marisa Bellissario e dalla deputata Lella Golfo, questa legge permetterebbe di pareggiare le quote di manager femminili presenti nei consigli di amministrazione di banche, aziende e assicurazioni a quelli dei manager maschili.
La legge intende modificare le percentuali di presenze nei consigli aumentando le quote femminili fino al 30%. La legge ha scatenato, forse anche in virtù delle mobilitazioni di piazza del 13 febbraio, le reazioni delle associazioni di categoria: nello specifico Confindustria, Abi, e Ania che vorrebbero che le modifiche avvenissero più diluite nel tempo.
Questo intervento dei poteri forti si è tradotto in una serie di emendamenti del PDL (schieramento di cui la stessa Lella Golfo fa parte) che provvederebbero a diluire nel tempo di 10 anni l’avvicendamento delle quote maschili con quelle femminili.
Lella Golfo lancia quindi un appello affinché si vigili sulla corretta applicazione della legge sulle quote di genere nei CDA, legge sacrosanta e giusta che ci avvicinerebbe alle democrazie europee.
Così si legge sul sito della fondazione Marisa Bellissario in un articolo relativo alle quote rosa:
“Temendo un tentativo dei «poteri forti» di bloccare o almeno annacquare il contenuto del provvedimento, l’onorevole del Pdl, presidente della Fondazione Bellisario, invita a scrivere per posta elettronica al presidente del Senato, Renato Schifani (segreteria gabinetto presidente @senato.it) e a quello della commissione Finanze, Mario Baldassarri (mario.baldassarri@senato.it), perché vigilino «sul corretto svolgimento dei lavori parlamentari» tenendoli al riparo «da agenti esterni”.
53 gli emendamenti presentati alla legge, 52 del PDL. La stessa AIDDA (associazione imprenditrici e donne d’azienda) contesta le modifiche proposte che annaquerebbero la legge “Perché” dice la loro portavoce “Porterebbero al raggiungimento del 30% non prima di 1o anni. Dobbiamo forse uscire da Confindustria e fondare un’associazione di categoria di donne?”
Il problema delle quote di genere è annoso e di difficile soluzione. Non ci sono prove che le donne abbiano maggiori capacità gestionale dei maschi, come spesso sostiene chi desidera veder approvate le leggi sulle quote di genere. Tuttavia, anche per questo particolare disegno di legge, che interessa solo le donne manager, è evidente che nel nostro Paese sussiste una discrepanza fra ciò che la legge prescrive in merito ai diritti per i cittadini e al modo in cui questi vengono applicati quando si tratta di donne.
Molti conservatori ritengono che la società stessa provvederà a pareggiare le caratteristiche dei CDA permettendo a più donne di raggiungere i vertici aziendali senza bisogno di leggi specifiche sulle quote di genere. La loro soluzione al problema è non fare nulla, quindi. La posizione di privilegiati che, per aggiudicarsi il posto nei consigli, hanno ridotto la concorrenza almeno del 30%, cioé della percentuale femminile.
A parità di diritti la concorrenza sarebbe più spietata. Ma la concorrenza fa aumentare la qualità del lavoro, no? Dunque di che si ha paura? Acceleriamo il processo, finora frenato, di equiparazione dei diritti effettivi tra uomo e donna.
Scritto da M. F.
Pingback: Quote rosa nei CDA: la legge
Pingback: Se non ora quando: 8 marzo
Pingback: Quote rosa Cda: sit-in davanti al Senato