La donna Vampiro a Venezia, dalla leggenda alla realtà

Una notizia curiosa tratta da questo sito

Il ritrovamento venerdì 7 marzo dello scorso anno, nell’isola del Lazzaretto nuovo a Venezia, da parte dell’archeologo dottor Matteo Borrini, del teschio di una donna (risalente a metà del XVII secolo), con un mattone in bocca, – naturalmente un rito svolto in una creatura deceduta per peste, visto che in quell’isola di Venezia sono stati concentrati diversi corpi di defunti per questo terribile morbo – ci riporta a vecchie leggende veneziane che narravano di donne vampiro a Venezia. Si riteneva infatti che i portatori della peste fossero i vampiri, per cui trovando il corpo non decomposto di una vittima di questo morbo terribile con un rivolo di sangue al lato della bocca, o dal naso (cosa naturale per chi moriva di quella malattia), e per di più donna (strega?), secondo la credenza destinata a nutrirsi del sangue od anche solo delle energie dei viventi che si avvicinassero al suo corpo, era come ritrovarsi davanti la sconosciuta, la potente, chi è in grado di dare la vita, ma anche di toglierla … Per cui, per difendersi e difendere il resto della popolazione era necessario un rito: si inseriva un mattone nella sua bocca, e la “vampira” non avrebbe più potuto nuocere.

Tutto cio nasce dalla figura del Nachzeher, dalle parole tedesche Nacht (notte) e Zehrer (divoratore).

Da come si potrà intuire, la figura è prettamente nordica, come una sorta di vampiro. Secondo la tradizione si tratterebbe di una persona morta annegata od un bambino che alla nascita sarebbe rimasto con tutto il sacco amniotico o soffocato dal cordone ombelicale.

Più interessante è la teoria Polacca (e numerosi ebrei vennero dalla Polonia a Venezia). Qui il Nachzeher è visto come un vero e proprio vampiro, al quale però non è stata data la possibilità di completare l’abbraccio, cioè non si è compiuta la definitiva trasformazione tra essere umano e vampiro.

Non essendo un essere completo, si troverebbe in uno stato di torpore perenne all’nterno della sua tomba, non vigile ed incapace di intendere cosa stia succedendo. Proprio per questo si limiterebbe a masticare il suo sudario, come fosse una sorta di bambino.

Come altre creature leggendarie masticherebbe, come già detto, il proprio sudario, ed anche i suoi vestiti ed altre parti del corpo come le mani e le labbra.

Anche se apparentemente innoquo la leggenda vuole che il Nachzerher rimanga in vita succhiando l’energia vitale degli esseri viventi che si trovano accanto alla sua tomba e che, da portatore di peste, il suo sudario guarirebbe invece tutte le malattie, per cui c’era l’interesse, da parte dei “tombaroli” di trovare questi sudari, scatenando la violenza dei “vampiri” proprio contro chi si fosse reso responsabile del furto.

Il solo modo per fermare il Nachzehrer era quello di fermare la mascella del defunto, con dei sassi, delle monete, o con dei piccoli mattoni.

Questo mito ha attirato l’attenzione di diversi studiosi. Uno dei primi fu Philip Rohr, teologo, che nel 1679, nel trattato “De masticatione mortuorum” suggeriva che dietro questa immonda attività si nascondesse l’attività blasfema di un demone, Azazel.

Successivamente fu Michael Ranfitus, nel 1725, ad occuparsi dell’argomento. Egli propose due teorie: prima una spiegazione razionale, suggerendo che i rumori tra le tombe e la diffusione della peste fossero da ascriversi alla febbrile attività dei ratti, quindi dava una supposizione sovrannaturale: l’esistenza di un’anima vegetativa che aleggiava intorno al morto, causando la crescita dei peli e delle unghie ed a volte in grado anche di danneggiare i vivi.

Rimane comunque l’inquietante mistero di un teschio di giovane donna, di vecchie credenze e dell’ombra sinistra che il morbo della peste aveva portato e continuava a portare sui quei poveri resti, attori e vittime di leggende, storie e , magari, di angosciose presenze di esseri morti ed abbandonati, senza alcun rito, senza alcuno che li piangesse, così come accade in corso di terribili epidemie… sperando che non accada più!

Scritto da Piera Panizzuti

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