Prosegue la nostra rassegna delle donne dell’Unità d’Italia. Oggi è il turno di Giuditta Bellerio in Sidoli che è stata la donna che ha consegnato per la prima volta il tricolore e una delle fondatrici de “La Giovane Italia”.
Nata da una famiglia agiata, il padre era il barone Bellerio, magistrato del Regno Italico, Giuditta sposa giovanissima Giovanni Sidoli, latifondista modenese, attivo nella carboneria con il soprannome di Decade.
Giuditta viene presto influenzata dalle idee rivoluzionarie del marito e ne condivide la passione per la Repubblica e l’indipendenza. É il 1821 quando assieme al marito scappa in Svizzera per fuggire dalle persecuzioni della polizia austriaca che porterà al processo della Rubiera.Prima di fuggire dà alla luce la figlia Maria.
Rimane oltralpe per circa sette anni a causa della condanna capitale che pende sulla testa del Decade. In questi anni la Sidoli si dedica molto alla vita coniugale. Le nascono altri tre figli: Elvira, Corinna e Achille e, purtroppo, nel 1828, muore l’amato marito.
Dopo la morte del padre i quattro figli le sono sottratti dal suocero fedele all’imperatore austriaco. Non li rivedrà che dopo otto anni. Nel 1831, su insistenza del Menotti, rientra in Italia per i moti di Reggio Emilia. In quell’occasione consegna la bandiera tricolore alla neo-nata “Guardia Civica” della città.
Seguirono anni di fuga dalla repressione austriaca, prima a Lugano e poi a Marsiglia. In questi anni tiene i contatti anche con Mazzini del quale diviene amante e collaboratrice politica.
In quegli anni continua il suo pelegrinare per l’Europa e per l’Italia in fuga dagli austriaci e in cerca dei figli: Roma, Milano, Firenze e Bologna. In tutte queste occasioni parteciperà attivamente ai moti insurrezionali.
Gli anni fra il 1849 e il 1850 furono i più duri. Catturata e trasferita a Milano su ordine del generale Radetsky fu alla fine graziata dal successore del generale austriaco e riparò a Torino dove rimase fino alla morte nel 1868. Morì di tubercolosi in quella città, dopo aver portato all’Italia tutta grande onore e la ricchezza di una passione interminabile.
Capace di ammaliare e appasionare Giuseppe Mazzini che di lei ebbe a dire in una lettera: “Sorridimi sempre, è il solo sorriso che mi venga dalla vita”. Seppe dare slancio e vita alla Nazione grazie ai salotti che portarono alla seconda guerra d’Indipendenza, salotti fondati nel 1852 proprio nella capitale Piemontese.
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Ho curato la mostra ‘Altro Risorgimento – le pioniere dell’emancipazione femminile per conto dell’Associazione mazziniana italiana, che viene allestita dal 2008 in varie città itliane. Mi permetto di dissentite dall’appellare Giuditta “amante di Mazzini”. In realtà fu la sua compagna dell’anima, la persona di cui lui si fidò più di tutti e che amò fino alla morte. L’amore fu la conseguenza della loro unità d’intenti che fu vissuto in un rapporto “paritario” nel rispetto della democrazia che, per Mazzini, prima di essere un insieme di regola, è un modo d’intendere i rapporti a cominciare da quelli familiari.Grazie comunque per ricordare Giuditta.