Nell’Alessandria d’Egitto del 391 dopo Cristo, la filosofa Ipazia, ultima erede della cultura antica e forse, in quanto donna, massima espressione di una lunga evoluzione civile e di una libertà di pensiero che non si rivedrà più fino all’epoca moderna, viene travolta dalla crisi di un mondo, quello pagano, che non ha saputo ripensarsi, trovandosi così impreparato di fronte al nascere – e presto al dilagare – di movimenti religiosi sempre più fanatici e intolleranti. Fra questi i “parabolani”, la setta cristiana che arriva a distruggere la biblioteca del Serapeo, dove Ipazia lotta insieme ai suoi discepoli per salvare la saggezza del Mondo Antico. Tra questi ultimi, due uomini in lotta per il cuore della filosofa: l’arguto e privilegiato Oreste e Davo, il giovane schiavo di Ipazia, che è diviso tra l’amore segreto per lei e la libertà che potrebbe ottenere se si unisse alla rivolta ormai inarrestabile dei cristiani.
Con ostilità implacabile, il vescovo Cirillo attacca senza sosta “l’eretica” Ipazia, fino a condannarla a morte…
Ma chi era IPAZIA d’Alessandria?
Figlia di Teone, responsabile della leggendaria Biblioteca di Alessandria, Ipazia è vissuta nel quarto secolo dopo Cristo, l’epoca in cui è incominciata la decadenza dell’Impero Romano e il mondo ha iniziato a spostarsi verso un nuovo ordine. Astronoma, matematica e filosofa, Ipazia era una celebre scienziata e un simbolo di tolleranza nella sua nativa Alessandria. Sebbene le sue opere scientifiche siano andate perdute, la sua immagine nella Storia è quella di una donna forte che ha dedicato la vita alla ricerca della verità.
“Abbiamo tentato di andare oltre quello che si sa di lei”, sostiene Alejandro Amenábar. “Si conosce molto della sua morte, di quello che Ipazia significava nella città in quell’epoca, di lei come personaggio e come simbolo. Ma si sa poco del suo lavoro. Inserire una sottotrama astronomica attraverso il suo personaggio ci ha consentito di fare ipotesi sulla portata dei suoi studi e anche sulle vette che la civiltà antica avrebbe potuto raggiungere se il Medioevo e la caduta dell’Impero romano non fossero avvenuti in questo modo violento, e se dunque il mondo non fosse rimasto paralizzato per 1.500 anni”.
L’attrice britannica Rachel Weisz, vincitrice dell’Oscar per The Constant Gardener – La cospirazione e molto conosciuta per pellicole come La mummia, interpreta Ipazia, la brillante astronoma.
“Io non ne avevo mai sentito parlare e sono rimasta colpita quando ho iniziato a informarmi e a scoprire tante cose su Ipazia”, rivela la Weisz. “Era una donna straordinaria e ha vissuto una vita straordinaria. Senza dubbio rappresentava un mito nell’Europa del XVIII secolo tra i poeti romantici. La idealizzavano e la giudicavano un idolo, scrivendo poesie su di lei, che a quel punto si era trasformata in un’eroina romantica. Credo che dipenda dal fatto che Ipazia fosse diventata un simbolo della passione, della conoscenza e della ragione”.
“Ipazia incarnava due condizioni molto interessanti”, sostiene Mateo Gil. “Da una parte, rappresentava chiaramente la mentalità greca, la ricerca della verità attraverso la riflessione, in un mondo in cui le religioni hanno un grande potere nelle vite quotidiane delle persone e cercano costantemente di aumentare questo potere. D’altra parte, era una donna in un mondo di uomini. Era una donna che voleva condurre la sua vita come avrebbe fatto un uomo, con la stessa libertà di svolgere ricerche e di dedicarsi alla filosofia, come
aveva fatto suo padre. Da qui la decisione di non concedersi a nessun uomo, in modo da non essere privata della libertà di cui aveva bisogno”.
“Un aspetto fondamentale del personaggio, che Alejandro ha ritratto in maniera molto efficace, è che i filosofi devono sempre contenere le loro emozioni, cosa che potrebbe farli sembrare distaccati o freddi sullo schermo. Rachel Weisz interpreta un’Ipazia che mostra una grande passione per la conoscenza, ma che deve reagire con serenità per via della sua dedizione alla filosofia. Questa dote era necessaria per i filosofi e i saggi. E’ per questo che incarnavano un ruolo importante, simile a quello degli intellettuali odierni, nel consigliare i politici che governano”, rivela Elisa Garrido.
Ipazia di Alessandria è entrata nella Storia avvolta dalla leggenda, in buona parte per via della sua vita personale. Ammirata per la sua intelligenza e rispettata per l’incredibile posizione che aveva ottenuto nella gerarchia sociale della città, viene rappresentata dalle fonti dell’epoca come una donna bellissima, che ispirava una forte passione nelle persone che la circondavano.
“Ipazia è morta vergine. Sappiamo da alcune lettere dei suoi studenti che ispirava una devozione incredibile tra gli allievi. Alcuni di loro forse sono stati innamorati di lei. Si intuisce che uno dei suoi allievi preferiti probabilmente lo sia stato, ma Ipazia manteneva sempre una grande dignità e nobiltà, senza mai oltrepassare i confini che esistono tra insegnante e allievo. Sembra che ci fosse qualcosa in lei che ispirava veramente i suoi studenti, che erano assolutamente leali nei suoi confronti, peraltro in un’epoca in cui era decisamente inconsueto per una donna insegnare”, commenta Rachel Weisz.
Gentilissima Signora,
nel Film “AGORA'” su IPAZIA – JOHN TOLAND, Ipazia, Editrice Clinamen, Firenze, 2010 – mancano assolutamente i riferimenti ASTROLOGICI: ed è gravissimo!!! Le scuole neoplatoniche dei primi secoli non erano guidate in tale modo. Il film è stato comunque culturalmente molto utile, se pur, da un punto di vista artistico, criticabile. Comunque ne andrebbero messi in scena altri.
L’ utilità del film avrebbe potuto essere evidenziata anche da MARINO discepolo di PROCLO, poiché egli racconta che Proclo stesso, per aver custodito in casa sua la dea Atena, avrebbe poi rischiato di fare la stessa fine di Ipazia. Così erano diventate molte sette cristiane finite le prime comunità apostoliche, della DIDACHE’.
Fino a Dante, e perciò anche nelle antiche scuole neoplatoniche di Atene e di Alessandria, non esistevano comunque lezioni astronomiche senza riferimenti all’astrologia tolemaica e, conseguentemente, senza l’identificazione dei quattro umori, UMIDO, CALDO – fecondi e attivi – , e SECCO e FREDDO – distruttivi e passivi – (Tetrabiblos, I, V, 1-2; I, VIII, 1-2).
Il problema della teorizzazione del movimento ELLITTICO dei pianeti, a migliore giustificazione delle loro apparenze in cielo, è importante, ricorda la passione per la ricerca dei neoplatonici, ma questa loro passione andava ben oltre questo aspetto a noi tanto caro. Essi erano impegnati anche nel problema della spiritualizzazione dell’anima: problema i cui tentativi di risoluzione venivano ugualmente sottoposti ad osservazione scientifica, empirica, sia pure sotto il profilo della soggettività.
Inoltre i pianeti ontologicamente influenti erano i primi cinque in base a CLAUDIO TOLOMEO (e a Dante) e andavano gerarchicamente, anche per Dante, dalla Luna a Marte (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte). La Luna è assai vicino alla terra e alla sua fertilità e il suo angelo, non per caso, è GABRIELE. Ma sulla Terra esiste un problema riguardante SATANA: cioè la non volontà di resurrezione.
Marte è invece assai più vicino al più alto dei cieli, è lontano dalla Terra, e inclina al versamento del sangue per la verità e alla musica (Convivio, II, XIII, 8; Commedia, Par., XIV, 103-108). Per arrivare a tanto bisognerà però che prima l’essere umano discenda dal cielo di Marte per incarnarsi sulla Terra, vinca la non volontà di incarnazione: ed è qui che può essere aiutato dagli influssi della Luna. Man mano che saliamo nei cieli, sotto il profilo ontologico, esiste infatti una non volontà di incarnazione che è in ordine a LUCIFERO. SATANA e LUCIFERO sono due campi di forza opposti scientificamente utili alla maturazione dell’uomo completo.
Allora quando il nostro allievo dedica ad Ipazia, nell’agorà, la sua musica è simigliante al cielo di Marte e sottostà perciò al problema di una non volontà di incarnazione, ovviamente: Ipazia l’ha capito. Quando invece Ipazia contraccambia didatticamente l’omaggio con il suo fazzoletto macchiato del suo mestruo è invece simigliante al cielo della Luna e al problema di una non volontà di resurrezione. I due campi di forza della NON VOLONTA’, per tentazione reciproca, danno perciò luogo alla Croce di Cristo che, se intesa come simbolo di scienza, diventa e simboleggia la contemporanea volontà di incarnazione e di resurrezione. Cristo, l’UOMO, è infatti volontà al tempo stesso di incarnazione e di resurrezione: da qui la croce di cristo come simbolo di una scienza della soggettività in generale e dell’evoluzione della persona.
In altre parole Ipazia, regalando il suo mestruo, invita l’allievo neoplatonico a scendere dalla musica presente nel cielo di Marte e ad incarnarsi misurandosi con la Luna, cioè approfittandone per diventare un vero uomo. Ipazia, sotto il profilo scientifico-spirituale, cioè della ricerca della verità, è paradossalmente perciò già più cristiana di lui.
E’ interessante ricordare anzi che Dante dichiaratamente MALEDICE nel Convivio quei cristiani che non vedono nella paganità classica la spinta necessaria per essere autentici cristiani. Egli scrive: “Maledetti siate voi, e la vostra presunzione, e chi a voi crede” (Convivio, IV, V, 9).
Non si può studiare il medioevo e la classicità, come anche gli egizi e i caldei, solo riempiendosi la mente di avvenimenti, di episodi storici e di cronaca e di date poiché tale indirizzo è parziale, intimamente deludente, e infine finisce per impoverire lo studente e la cultura. Per studiare con autentico profitto culturale bisognerà invece cercare prima di tutto di impadronirsi delle scienze dell’epoca di cui intendiamo riferire poiché è di esse stesse che ha vissuto l’umanità di cui vogliamo riferire. Il compito è difficile e rischioso ma possibile, comunque ineludibile. Scriveva Eugenio Garin che l’università delle Scienze Umane, sotto questo profilo, fa pena. Io ho condiviso il suo sentimento e ho cercato di porre alcuni qualificanti rimedi con lunghi e faticosissimi studi. Il risultato didattico è però rimasto inascoltato. Perché?
Con un saluto.
Firenze, 26 giugno 2010,
Giovangualberto Ceri –
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