Nel suo blog oggi Michela Murgia commenta una notizia letta sul Corriere della Sera che riporta dell’ennesimo caso di “Femminicidio” avvenuto a Napoli dove un ex-poliziotto fracassa il cranio alla sua compagna.
La Murgia riportando la notizia dell’ennesimo femminicidio, se la prende con il giornalista che, mentre non dice nulla della vittima, nel fondo del suo pezzo passa a dare alcuni dati sul carnefice affermando che avrebbe sofferto di depressione, che sarebbe stato affetto da una probabile patologia e che era separato.
La scrittrice è convinta che il giornalista abbia in qualche modo dato conto di alcune attenuanti sul massacratore, come se l’atto fosse in parte scusabile dal fatto che l’uomo era forse depresso e quindi incapace di controllarsi. A parte il fatto che la depressione non sfocia in azioni violente, ha ragione la Murgia nel dire che tali giustificazioni sono assurde.
Voi come la pensate? Lo sfogo della Murgia è corretto? C’è davvero nella stampa una tendenza a giustificare i carnefici? E se sì, ciò è dovuto per il bisogno di dare conto di un fenomeno, per non generalizzare o per quale altro motivo?
Personalmente credo che la Murgia sia nel giusto e, se non del tutto, almeno in parte e propone un codice etico che i giornalisti dovrebbero seguire in caso di “femminicidio“. Il giornalista ha tentato di giustificare un atto altrimenti inspiegabile ed è proprio della natura umana fare questo sforzo. Leggendo il pezzo però ci si rende conto che esso è tutto impostato dal punto di vista del carnefice, attore e, allo stesso tempo, vittima della tragedia.
Di lei non sappiamo quasi nulla: aveva una bambina di 6 anni, aveva litigato col compagno, prima di morire aveva portato la figlia a scuola. Ora è morta con la testa fracassata sul pavimento.