Il Nordest è l’area d’Italia dove per il sesso femminile è più facile arrivare ai vertici, ma il divario
con gli uomini è elevato: le manager sono la metà dei maschi. Le donne in carriera incontrano sempre maggiori difficoltà.
Fatica, tanta fatica, ancora fatica. Si potrebbe sintetizzare così la condizione della donna nel mondo del lavoro. Se per le nostre nonne il problema era soprattutto culturale, adesso i problemi sono diversi, come ad esempio la difficoltà a conciliare un sistema di ammortizzatori poco elastico, come possono essere gli asili, con orari sempre più impegnativi.
Oggi la donna in carriera, anche nel mitico e florido Nordest suda ancora sette camicie per arrivare ai vertici.
In Italia la partecipazione della popolazione attiva e in età di lavoro (15-64 anni) è, secondo gli ultimi dati disponibili, pari al 57,9 per cento, 69 per cento tra gli uomini e 46,9 per cento tra le donne.
Una partecipazione molto maggiore nel Nordest (67 per cento totale, 75,5 per cento uomo e 58,2 per cento donna) e Nord Ovest rispetto al resto d’Italia, con il dramma del Mezzogiorno dove solo il 45 per cento dei potenziali occupati risulta tale e in particolare il 59,6 per cento degli uomini e solo il 30,7 per cento delle donne.
E questi dati, raccolti da Manageritalia farebbero ben sperare. Il Veneto, infatti ricalca abbastanza fedelmente il dato del Nordest, con un’occupazione totale pari al 67 per cento, 75,5 per cento per gli uomini e 58,2 per cento per le donne.
È indubbio, quindi, che Veneto e Nordest in generale siano l’area geografica più virtuosa in Italia per quanto riguarda la partecipazione al lavoro di tutti e delle donne in particolare, ma questo non toglie che siano comunque non allineati con quanto avviene nelle economie più avanzate.
In particolare per quanto riguarda i dirigenti-donna in carriera- già poco presenti in Veneto visto che il loro rapporto è dello 0,6 per cento sui dipendenti, contro uno 0,9 per cento medio a livello nazionale e per quanto riguarda i dirigenti più i quadri del 2,4, contro un 3,3 per cento a livello nazionale – la situazione delle donne è ancora più critica. Infatti, se i dirigenti presenti in Veneto sono il 7,2 per cento dei dirigenti a livello nazionale, le donne sono solo il 4,9 per cento e dunque hanno in regione una presenza inferiore a quella dei colleghi e comunque inferiore alla media nazionale.
Ma cosa frena l’ascesa delle donne nel mondo della dirigenza? Soprattutto il modello di impegno richiesto. Ad un manager viene infatti chiesto di viaggiare per lavoro (69 per cento), disponibilità a orari prolungati (67 per cento), disponibilità ad avere un forte mobilità territoriale (51 per cento) .
Per quanto riguarda tutti i lavoratori in generale prevalgono: disponibilità a orari prolungati (64 per cento), disponibilità a viaggiare per lavoro (52 per cento) e in negativo responsabilità connesse alla maternità, paternità o cura dei parenti (48 per cento), pregiudizi da parte dei superiori (43 per cento).
E le quote rosa? Solo un quarto (28 per cento) le vedrebbe favorevolmente per gli incarichi dirigenziali manageriali e un quinto (21 per cento) per gli incarichi nei consigli di amministrazione. Lo scopo della ricerca – condotta da Luca Romano, ricercatore sociale – era quello di verificare le ragioni che provocano un così diverso accesso al mondo del lavoro da parte delle donne e degli uomini.
Come spiega Romano i motivi sono diversi. Si va dalle ragioni culturali a quelle strutturali che derivano dall’organizzazione sociale esterna ai luoghi di lavoro o ancora ai modelli di accesso alla carriera che ancora premiano il mondo maschile.
«Il punto cruciale in cui si verifica il differenziale negativo di carriera è la fascia anagrafica tra i 28 e i 35 anni, ovvero dopo la laurea e l’inserimento nel mondo del lavoro quando la costruzione della carriera professionale di fatto coincide quasi per sovrapposizione con la decisione di fare una famiglia. – spiega Romano – Questo rappresenta il momento cruciale perché si ritiene prevalente il motivo culturale – professionale della rinuncia femminile a investire sul lavoro a discapito della famiglia. Secondo le intervistate il fattore più rilevante della rinuncia è quello della cultura soggettiva, ovvero del modello di famiglia tradizionale che richiede un impegno full time».
Daniela Boresi
Il Gazzettino – 21 dicembre 2009
Ciao, ti faccio i miei complimenti per il blog. Mi piace davvero! Laura