Botero a Roma fino al 25 settembre

Ci sono le scene di vita quotidiana della sua Meddellin di quarant’anni fa, le nature morte e le corride, ma anche la violenza estrema e risonante delle torture di Abu Ghraib. E’ un Botero mai visto, in prima europea e mondiale (per il ciclo ispirato agli orrori del carcere iracheno), quello che è in mostra a Palazzo Venezia fino al 25 settembre.

Presentata alla stampa dall’artista in persona, ‘Fernando Botero. Gli ultimi 15 anni’ segna il ritorno nella capitale dopo la grande rassegna a Palazzo delle esposizioni del 1991. Fieramente figurativo fin dagli anni cinquanta, quando l’arte parlava sopratutto i linguaggi dell’astrazione e del concettuale, l’artista ha sempre seguito la sua ispirazione, riuscendo ad armonizzare la pittura classica italiana con la tradizione precolombiana e il barocco latino americano. ”Quando, nel ’53, appena ventenne, sono venuto in Italia per studiare la pittura fiorentina, da Giotto a Michelangelo, sono rimasto estremamente colpito dall’idea di volume esaltata da quegli artisti, dalla sensazione di potere e di grandezza che emanavano le loro opere”, ha detto Botero per spiegare la sua cifra così originale e le forme dilatate che la contraddistinguono. ”Il volume è un’esaltazione della vita, è un elemento di sensualità e l’arte deve essere sensuale – ha proseguito – per me, dopo l’esperienza in Italia, si trattava di non solo di amare il volume, ma di trovare una forma personale per farlo”. E se il contemporaneo ha una connotazione estrema in tutto, basti pensare ai colori di Chagall, ha aggiunto l’artista, la strada della sua poetica è stata quella delle grandi campiture di colore e delle forme over-size.

Infranto il tabù del volume, Botero non è più tornato indietro (”Io non cambio stile, non sono un modista”). E’ sempre più maturato nella tecnica e continua a dipingere le atmosfere della sua terra, lontana nello spazio e nel tempo. Tanto che le 170 opere in mostra non rispettano un percorso cronologico, bensì tematico, raccogliendo lescene di vita, le nature morte, le immagini della corrida. Dipinti, acquerelli bellissimi, disegni realizzati negli ultimi 15 anni, tra cui capolavori come ‘Il terremoto’ del 2000 e ‘Le arance’ del ’99.

Il ciclo di Abu Ghraib richiede invece un discorso a parte. Sonoimmagini molto forti e di estrema violenza, nonostante, e questo è spiazzante, la cifra sia rimasta immutata . ”In quei corpi aggrovigliati, bendati, resi ancora più inermi dal tratto stilistico dell’artista colombiano – scrive nel catalogo pubblicato da De Luca il sindaco Veltroni – c’e’ un silenzio che urla, lo stesso di ogni essere umano umiliato, torturato, ridotto a burattino informe… Di fronte a queste opere non possiamo non sentire, forte, un senso di vergogna, di pena, di profonda amarezza per quanto l’uomo può fare all’uomo”.

[Fonte: Ansa.it]

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