articolo di Ida Poletto
Spesso mi trovo a leggere argomentazioni di genere un po’ superficiali se non banali. Ritornano generalizzazioni inutili e stereotipi inaciditi come certi yogurt. Di fatto professionalmente noi donne dovremmo superare quella che viene definita discriminazione implicita per poca attitudine alla competizione e per avversione al rischio, due stereotipi di genere che assumiamo come fumo passivo. Anche perché oggi lavorare non è più un’ambizione carrieristica ma una necessità e lo “spirito di necessità” per gli esseri umani è motore superiore alla nostra volontà…dunque questa impossibilità di genere, descritta perfettamente con l’immagine simbolica del tetto di cristallo, temo non sia più figlia del contesto ma fenomenologica, e non vorrei mai fosse originale come il peccato o inevitabile come la morte.
Se unire le risorse può cambiare i risultati e, andando per slogan, servono competenze per decidere e decisioni per competere; direi che il mondo femminile ha ancora molta strada da fare…e non tanto e non più per raggiungere traguardi, ma piuttosto per far crescere nella società un’ idea completa e condivisa di quanto INSIEME si possa fare in un periodo storico dove oramai solo i sordi non sentono gli scricchiolii di un mondo e di un modo che sta fallendo- morendo- esaurendosi. E naturalmente non sto parlando di un rigurgito femminista, ma siamo sicuramente tutti convinti che il sesso biologico non dovrebbe essere un fattore pre-determinate che modella l’identità sociale o i diritti politico-economici di una persona.
Malgrado si ricorra sempre più a posizioni e ruoli politacally correct, i pregiudizi sono rimasti così radicati da potersi definire ontologici. Lavorativamente parlando per le donne un impiego sicuro sembra essere sufficiente e, come nella vita affettiva, molte si aspettano di essere scelte, che qualcuno le premi o le prediliga. Rimane alla fine il grande divario tra leadership e potere, parola che resta agli uomini, mentre la leadership (banalmente le responsabilità) viene riconosciuta spesso alle donne. Di fronte a questo si ergono ancora stereotipi di genere apparentemente dismessi o sorpassati. Così, in estrema sintesi, avremo: la strega, la professoressa, la statua, e i rimandi favolistici o fumettistici non ne sfumano i vecchi profili… La strega, lei è piuttosto aggressiva e infelice per paura di rimanere in eterna attesa di un riconoscimento,solitamente sono donne belle e che hanno le physique du role; non troppo belle sono invece le istitutrici: molto competenti, tenderanno a eliminare ogni caratteristica di umanità e sensibilità rinunciando al proprio sesto senso: quello dell’intelligenza emozionale; sono al contrario molto femminili: le manager –statua, donne che nel team aspettano di parlare solo se pensano di avere un’idea sorprendente e comunque all’altezza. L’ironia resta l’unica arma!
Penso che ognuna di noi si sia trovata in diversi momenti della vita ad interpretare ruoli diversi, spesso per rispondere ad aspettative ed esigenze altrui.
Se dobbiamo dunque noi, donne & uomini insieme, guardare al futuro ricordiamoci che i Greci pensavano che il FUTURO fosse alle nostre spalle, dunque è limitante cercare avanti a sé e a tutti i costi impegnarsi a vedere qualcosa più in là. Fermiamoci e guardiamo oggi al nostro fianco e/o alla nostra storia, altrimenti non scorgeremo nessuno, anzi continueremo a non sapere più neanche dove stiamo andando o cosa vogliamo, così, inquieti, spaventati, molto spesso violenti ed aggressivi, non valuteremo che essere donne è un compito terribilmente difficile e complesso visto che consiste principalmente, come diceva Conrad , nell’avere a che fare con gli uomini… ma più difficile è diventare persone, INDIVIDUI che hanno stra-ordinariamente a che fare con altri individui.
E’ vero, le donne sono inclusive, ma non necessariamente multitasking: prospettiva assolutamente diversa! La ricerca costante, quotidiana, di far quadrare il cerchio, tra responsabilità e doveri, colpe e mancanze, sentire e pensare,desideri e bisogni, tende a rallentare un’evoluzione appena avviata, una mutazione lenta che ci farà preferire nella VITA i toni pacati, la riflessione attenta, l’ascolto generoso, la condivisione rispettosa e… il lusso della pausa.
Un famoso architetto brasiliano, Oscar Niemeyer, dichiarò di preferire alla linea retta, simbolo duro e inflessibile della razionalizzazione, la linea curva, metafora libera e sensuale della leggerezza non arrendevole. E’ così che invito tutti a cercare non tanto la quadratura del cerchio, operazione dolorosa e fallimentare, ma piuttosto la cerchiatura del quadrato.