Visitabile a Padova, Palazzo Zabarella, la più importante mostra realizzata finora sull’artista.
120 capolavori provenienti dai più prestigiosi musei e collezioni pubbliche italiane e francesi costituiscono il percorso espositivo delle opere di uno dei protagonisti assoluti della pittura dell’Ottocento europeo. La rassegna, curata da Emanuela Angiuli e Fernando Mazzocca, è promossa dalla Fondazione Bano di Padova e dalla Fondazione Antonveneta.
Tra le opere in mostra, spiccano i volti femminili ritratti da De Nittis: il pittore li ritrae in un vortice di vita fatto di balli e ritrovi mondani, mostrandone non solo la bellezza e l’eleganza dell’abbigliamento – rigorosamente alla moda – ma anche l’inquietudine e una malinconica consapevolezza. Nella signora borghese fin de siècle s’intravede già la donna del Novecento: sempre misteriosa ma attiva nella nuova strada della sua emancipazione. L’artista di Barletta coglie quell’universo femminile in trasformazione. Egli stesso è stato un anticonformista fra gli artisti del suo tempo: solare, amante della tranquilla vita familiare, generoso ed ospitale verso gli amici, grande osservatore della modernità. Pur rimanendo legato alle sue radici meridionali ha saputo sprovincializzare la sua arte e accogliere con grande originalità tutti i fermenti e gli stimoli che gli giungevano dagli amici impressionisti d’Oltralpe.[1]
Quadro emblema è il ritratto della moglie Léontine Lucille Gruvelle, che lui chiamava Titine, dal titolo Giornata d’inverno (1882), un capolavoro che conferma a quali straordinari e originali esiti De Nittis sia arrivato nella tecnica del pastello dove riesce ad eguagliare Degas o Boldini. È il più bello dei molti ritratti che ci sono rimasti di Lèontine. Il fatto che lui l’abbia raffigurata tante volte, in diversi contesti e situazioni – come quando pur avendo paura dell’acqua posò per lui in barca – dimostra la grande profondità del loro legame.
Peppino e Titine si erano conosciuti nell’ottobre del 1868 a Parigi nel magazzino dei Morin, “costumieres du Théâtre de la Porte Saint Martin”. Avendo perso la madre da bambina, Léontine era stata adottata da questa coppia che gestiva un magazzino di costumi teatrali frequentato anche dai pittori. Entrambi orfani in tenera età – la madre del pittore era morta quando lui aveva soli tre anni e il padre si era suicidato nel 1856 – dovettero provare subito una grande solidarietà reciproca e tanta voglia di costruirsi una famiglia. Infatti si sposarono solo dieci mesi dopo, il 29 aprile 1869.
La statura internazionale di De Nittis, il più autorevole insieme a Boldini degli Italiens de Paris, si deve al fatto che ha saputo reggere il confronto con Manet, Degas e con gli Impressionisti con cui ha condiviso, pur nella diversità del linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura, scardinando una volta per sempre la gerarchia dei generi, nel raggiungimento di quell’autonomia dell’arte che sta alla base della modernità. E, come i francesi, ha affrontato gli stessi temi: il paesaggio, il ritratto e la rappresentazione della vita moderna, catturata, nel caso di De Nittis, nelle strade delle due metropoli che erano in quegli anni le capitali dell’arte e della mondanità: Parigi e Londra.
Aveva conquistato un ruolo di protagonista nella capitale mondiale dell’arte e della mondanità, come proclamava Alfred de Lostalot sulle pagine dell’autorevole “Gazette des Beaux Arts”: L’esposizione di place Vendôme ha fatto del signor De Nittis un “hors de pair”; all’unisono lo si è proclamato il pittore per antonomasia della Parisienne, in essa assimilando ogni donna elegante, francese o straniera, che abbia subito l’influenza dell’acclimatamento ai bordi della Senna […] Non conosciamo pittore meglio informato nel vestire femminile; ne apprezza tutti i dettagli […]Subito dopo viene un’altra qualità, quasi altrettanto rara … il signor De Nittis dipinge “comme il faut le monde comme il faut”; i suoi modelli sono persone dabbene ed egli sa loro conservare l’aspetto di ciò che sono, senza per questo sacrificare nulla della loro eleganza qualche volta affettata, pertanto incompatibile – o almeno tale dovrebbe essere – con la loro natura. Pittore eccellente, uomo affabile, conosceva a fondo il proprio soggetto, “le monde”. E ancora: Benché straniero il signor De Nittis è il più parigino dei nostri pittori. Ama e traduce come nessun altro l’aspetto delle nostre strade, dei nostri marciapiedi, delle nostre piazze con il relativo movimento, il loro caos, tutta la vita di ogni giorno, formicolante e intensa, nesuno meglio di lui, infine, ha saputo, con maggiore verità e arguzia, dipingere una Parigina, a casa sua o fuori, troneggiante nel proprio salotto o mentre trotterella per la via, bighellonante e perditempo davanti alle vetrine, oppure mentre va “dove va una donna che esce”.
Parigi vive da protagonista in tutte le sue opere: nelle stanze dell’intimità familiare, fra i paraventi di Léontine, nei salotti mondani, a teatro, nelle sale da ballo; la veste di madreperla come la pelle femminile delle spalle nude o avvolte di velluti. Parigini sono gli amici degli splendidi ritratti, madame Heredia e de Goncourt, parigine tutte le donne che sfilano accanto a Léontine in una sorta di paesaggio in cui stoffe, merletti, cappelli, guanti, piume, gonne, mantelli, ventagli si poggiano lì dove crescevano alberi e fiori. Anche per il pittore delle parigine, come ameranno etichettarlo i critici francesi, “la donna è senza dubbio una luce, uno sguardo, un invito alla felicità, e talvolta il suono di una parola; ma soprattutto è un’armonia generale, non solo nel gesto e nell’armonia delle membra, ma anche nelle mussole, nei veli, negli ampi e cangianti nembi di stoffe in cui si avvolge[…]Quale poeta mai, nel ritrarre il piacere prodotto dall’apparizione di una bellezza, oserebbe disgiungere la donna dal suo abito? E qual è poi l’uomo che per la strada, a teatro, al parco non abbia goduto, nella forma più disinteressata, di una toeletta sapientemente composta, e non ne abbia attinto un’immagine inseparabile dalla bellezza di colei a cui apparteneva, così facendo delle due entità, della donna e della veste, un tutto indivisibile?”[2]
Il successo definitivo del trentenne pittore italiano, considerato ormai arrivato – grazie anche all’attenta politica di relazioni sociali inaugurata da Léontine nella casa di Avenue Uhrich e successivamente in quella più sontuosa di rue Viète – vede nei samedi de l’amitié ospiti Claretie, Duranty, Bergerat, Hérédia, Daudet, Degas, Manet, Desboutin, Caillebotte, Dumas figlio.
Purtroppo la sua carriera si arrestò con la morte prematura, avvenuta il 21 agosto 1884 – a soli 38 anni – a Saint-Germain-en-Laye, per una congestione cerebrale e polmonare. Sul cavalletto posava, non finito, un grande quadro, l’ultimo ritratto di Titine distesa “in un’amaca sospesa sotto gli alberi”. Verrà sepolto nel cimitero di Père Lachaise, sulla sua lapide le parole di Alexandre Dumas figlio: “Mort à trente-huit ans/En pleine junesse/En plein amour/ En plein gloire/Comme les hèros et les demi-dieux ».
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