Ci sono alcune camere al “ritz”, forse ne son rimaste solo 4, un po’ vecchiotte, lo ammetto, singole, ma con il letto comodo quasi una piazza e mezza, che hanno nel salottino una piccola libreria dove trovano posto volumi che ho comprato e cercato con amore presso antiquari e rigattieri, e una affascinante sedia a dondolo; che creano un angolo lettura. Tanti anni fa era un terrazzino che venne trasformato, negli anni ‘80, in bovindo ovvero in un particolare tipo di finestratura, in cui gli infissi e le ante vetrate non sono allineate al muro. Questa camera io la scelgo. Mi fa pensare a Virginia Woolf e a quanto Lei cercasse uno SPAZIO e una voce che rappresentassero la prospettiva femminile. Comunque pare che la sedia a dondolo sia considerata un’invenzione di Benjamin Franklin, e si distingue dalle sedie tradizionali proprio per quella particolarità di oscillare senza capovolgersi. La sedia a dondolo fu dunque un’invenzione del XVIII secolo ed ebbe subito grande successo, sia per la comodità, sia per l’originalità del design che ne fece un oggetto di culto, romantico e al tempo stesso d’estremo relax. Se pensavate che la sedia a dondolo fosse un pezzo d’arredamento ormai relegato nelle soffitte, vi sbagliate! Alla nascita della mia nipotina, oramai due anni fa , la mia bella nuora canadese ne chiese una e fui felice nello scoprire la grande varietà di modelli . La “poltrona da allattamento” è un articolo di puericultura magico e davvero speciale, studiato appositamente per offrire uno spazio comodo alla mamma che nutre e allo stesso tempo culla il suo piccolo. Insomma non sto certo descrivendo una stanza dall’arredo contract. Cos’è il contract? Per prima cosa non è un prodotto, ma piuttosto un servizio spesso seriale, il cosiddetto “chiavi in mano”. Quindi, per finire, direi che, quello appena rappresentato, è uno spazio che soffre per eccesso di sensibilità e personalizzazione: una camera per passatisti, per chi insomma si mostra idealmente e sentimentalmente, direi anche ostinatamente, attaccato alle idee e ai costumi del passato.
Un’altra camera che senz’altro mi prenoterei al “ritz “sono i -22 (122-222-322-422: vi ricordo che papà costruì l’albergo verticalmente!). Anche di questa tipologia solo 4 esemplari, per intenditori, che sono frutto di un restyling degli anni ’90, subito prima del debutto dell’euro sui mercati finanziari nel ‘99. È una matrimoniale pura, per cui il letto e il materasso sono unici e indivisibili, riquadrati e inseriti in una specie di alcova disegnata da gessi e dorature. Non grande, ma intimissima, ha un bagno, anche quello non particolarmente spazioso, ma di un elegante MARMO rosa-portogallo. Avete mai sentito parlare del marmo rosa del Portogallo? Si tratta di un particolare tipo di marmo cristallino a grana fine, una pregiata pietra naturale disponibile in diverse tonalità. Mia madre scelse il Rosa Portogallo Venato, un marmo tra i più raffinati che viene estratto dalle cave dislocate nel bacino di Estremoz, attive già dall’epoca romana. Ecco perché, come si dice, nel suo piccolo, io la definirei una camera “garbata”, cioè gradevole e molto signorile… insomma tutti aggettivi un po’ desueti, come questa stanza non standard che ha il pregio di non farti sentire sola.
Sempre andando cercando le camere rare, un altro poker del “ritz” sono i -26 (ovvero 126-226-326-426). 44mq di stanza luminosissima. Cosa mi piace? Il suo colore dominante. L’azzurro nuvola nel “pantone” credo non esista, probabilmente è una tonalità inventata da mia madre con quel pover’uomo paziente che era il signor Furlan, un dipintore edile di rara sensibilità cromatica, vittima dell’estremo senso estetico della mia mamma che avrebbe voluto per il suo albergo i pittori della scuola leonardesca della sfumatura. Nomi così improbabili per definire un tonalità d’azzurro-grigio li ho sentiti solo nel mondo automobilistico mentre quelli più surreali restano, per me, i nomi delle tinte per capelli. Questa stanza nasconde il segreto di una doppia porta che la rende comunicante con un’altra camera più piccola, per uno spazio totale di quasi 70 mq! Le camere COMUNICANTI sono la mia passione. Rispondono a tutte le mie esigenze vacanzieri: ampi spazi per il corpo e per la mente, il piacere di condividere e, nello stesso tempo, la necessità di zone e tempi per sé. Sono una fan della “Teoria della felicità nella Savana” e l’ho scoperta mio malgrado e grazie al mio lavoro, sintetizzerei il concetto così: in generale, potrei affermare che la felicità risulta essere indirettamente proporzionale alla densità di popolazione in un certo ambiente sociale e direttamente proporzionale al numero di interazioni con legami stretti. Insomma meglio pochi, ma buoni. So che sembra una posizione individualista ma la camera comunicante è l’unica soluzione rispettosa degli spazi personali. Per chi ha fatto l’esperienza di viaggiare tutti insieme appassionatamente, sa che le “connecting rooms” sono una soluzione molto comoda per le famiglie: concede un po’ di privacy ai genitori lasciando però la sicurezza di avere i figli sotto controllo. Comunicare significa mettere in comune, le due stanze parlano quindi tra loro ma quella porticina che le divide farà la differenza tra scambiare e subire nelle tante geometrie delle relazioni umane.