22/04/2020

Ho da sempre un problema di archiviazione. Dagli appunti di scuola, ai documenti personali e di lavoro, alla rubrica telefonica, ai libretti per le istruzioni degli elettrodomestici, ai ricordi. E non è, lo premetto, una questione di essere o meno una persona ordinata. Anzi è forse proprio dal verbo archiviare che iniziano i miei problemi, il cui uso ha, nei suoi stessi sinonimi,  parole opposte e contrarie. Non vi sembra un po’ ironico che tra i sinonimi di archiviare troviamo: conservare, catalogare, memorizzare come anche insabbiare, abbandonare, accantonare?

E’ innegabile che la definizione più semplice e immediata, sicuramente la più sintetica è: raccolta di documenti. So come questa tecnica sia diventata sempre più sofisticata nell’era del digitale, ai software gestionali si sono affiancati i software di archiviazione, agli scanner i servizi cloud e oltre fino alla fantascienza. Mi rendo conto che se la necessità di costruire un sistema di archivi di documenti sia cartacei che digitali, nasce da esigenze di catalogazione e gestione delle informazioni pregresse, la possibilità di avere accesso a banche dati complesse fa dell’archiviazione di documenti un’attività propedeutica ad analisi strategiche e predittive. La finalità ultima è quella di essere in grado, più o meno agilmente, di recuperare e confrontare i dati in modo da far emergere informazioni nuove e significative. E questo nel mio lavoro di albergatrice mi è chiarissimo: statistiche e occupazione, strategie commerciali e di comunicazione, dunque revenue marketing e pricing, si basano su una analisi continua e attenta dei dati storici ex ante che mi permettono di fare delle simulazioni ex post. Dunque se si tratta di usarli i dati va tutto liscio ma se invece si tratta di metterli via mi perdo tra le diverse linee guida e così mi accade con i ricordi. Quando infatti mi viene chiesto di recuperare attraverso la memoria “informazioni archiviate del mio passato” mi si affollano nella mente troppe associazioni. Tornare ad impossessarmi dei ricordi in maniera associativa e non sequenziale ha come esito GLORIA ed uno straordinario caleidoscopio di flash back.

Le emozioni che mi suscita questa “solitudine alberghiera” potrebbero essere paragonate a una sorta di memoria che rimuove o, al contrario, rende vividi i ricordi di eventi ed esperienze vissute. Ci sono in ufficio circa 40 album fotografici che raccolgono, ed è opera di mia sorella, tutte le feste del “ritz”: si parte dal Capodanno 1968 e si arriva a quello del 2019, attraverso Pasque, Natali, Feste di Ferragosto, San Valentino, Carnevale e qualche 14 luglio in piscina quando, seppure in bassa stagione, la clientela francese era così numerosa che al “ritz” si festeggiavano: liberté, egalité et fraternité. Le feste, tutte, erano occasioni di un’inventiva esplosiva: mia madre e mia sorella creavano vere e proprie scenografie, tutti erano coinvolti, clienti e collaboratori, e anche io sempre un po’ schiva e renitente di fronte ai travestimenti; eppure nessuna festività sarebbe stata mai vissuta più intensamente di quelle sfacchinate al “ritz”. Negli anni è stato sempre più difficile divertire la gente: coinvolgerla e stupirla. Negli anni sono cambiate tante cose, ma non le famose feste del “ritz”.

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