Ho sempre sostenuto che la differenza tra un’estate al Sud e una al Nord, la facesse la luce; ma la luminosità di domenica 12 luglio qui, nel vecchio, caro e non più ricco Nord-Est, è stata semplicemente perfetta. L’estate astronomica è iniziata con il solstizio d’estate, ufficialmente il 21 giugno è risultato il giorno più lungo in termini di ore di luce, oltre 15 in Italia. Oggi, in questa limpida mattinata estiva, ho fatto colazione con i biscotti oltre che con le fette biscottate scadute. Di fatto stanno cominciando a scadere i prodotti panificati, sigillati, del breakfast in albergo. Per cui i biscottini Oswego, porzionati 3 a 3, accompagneranno nei prossimi giorni il mio nuovo Tea PU-ERH. Mio figlio Francesco, che me lo ha regalato, dice che sa di pesce e non lo beve volentieri. Il Pu-Erh è una varietà di tè poco conosciuta, ma con moltissime proprietà. Ha un sapore deciso, che richiama quello dell’humus, e a me ricorda, specificatamente, i funghi. Viene estratto da una varietà della Camelia Sinensis e ha un bellissimo colore rosso. Gli studi scientifici hanno dimostrato la sua potente azione curativa e la sua capacità di rafforzare il sistema immunitario. Regola il livello di zuccheri nel sangue e combatte il colesterolo. Il tè Pu-Erh è una delle varietà più preziose e particolari di questa famosa bevanda considerata un vero e proprio elisir di lunga vita. Deriva il suo nome dalla Provincia in cui vengono raccolte le sue foglie, situata nello Yunnan cinese ai confini con il Vietnam. Si tratta di una specialità post fermentata e poi affumicata nelle canne di bambù. Per me è davvero speciale soprattutto perché, come il vino, viene lasciato invecchiare diventando sempre più intenso.
Amo il tea e non bevo caffè. Mia sorella, al contrario, beve il caffè, ma non il tea. In realtà, a lei il caffè piace zuccherato e macchiato, un goccio di latte e tanta schiuma, di fatto non è una intenditrice. La mattina, come da bambina, fa colazione con il caffelatte e i biscotti. I suoi preferiti sono gli Athena e i Bucaneve, mostra, anche in queste abitudini, la sua natura nostalgica e tradizionalista. È così in tutto. Dalle scarpe ai capelli, fino all’abbigliamento. Da ragazzina ha combattuto con la nonna per avere il diritto ai Jeans e da allora per lei sono una divisa. Anche i capelli, che tinge per nascondere i capelli bianchi cresciuti precocemente come a nostro padre, sono tagliati nello stesso modo e dalla stessa parrucchiera da decenni. Non ama cambiare e credo le dia sicurezza riconoscersi allo specchio, quando ci si guarda, comunque poco per quanto è bella. Anche in questo io sono l’esatto contrario. Uso poco i tacchi, per niente le scarpe da ginnastica, calzo volentieri scarpe basse scollate e stivali di tutte le lunghezze, preferisco indossare gonne e vestiti, rigorosamente sotto il ginocchio e non aderenti… insomma amo stare comoda e libera da troppi ingombri. Mi diverte cambiare look: taglio rigoroso piuttosto che a vivo, romantico o etnico, severo o molto femminile. Nei miei abiti declino me stessa. In inglese si direbbe statement, cioè una dichiarazione di intenti, come la decisione, 10 anni fa, di non colorare più i capelli. Vi garantisco: non una scelta facile all’inizio, ma oggi la mia capigliatura naturale, liscia e grigia, mi rappresenta perfettamente.
Non ho condiviso, ma ho rispettato il famoso “power dressing” della donna anni 80 quando un capo d’abbigliamento era un atto di denuncia e una rivoluzione sociale. Ve le ricordate Melanie Griffith e Sigourney Weaver nel film una Una donna in carriera?. Tornando indietro troviamo i jeans slavati e i reggiseni bruciati dalle femministe che saranno mitizzate in film come Thelma & Louise o Erin Brockovich o Frida. Vestirsi al maschile, però, non è solo protesta, ma anche glamour. La diva degli anni 30, l’angelo azzurro, Marlene Dietrich, portava giacche doppiopetto bianche e fumava il sigaro, ma non faceva l’uomo, lo provocava.