L’altra sera su RAI 3 ho ascoltato Recalcati, filosofo e psicanalista lacaniano (Jacques Lacan è stato uno dei maggiori filosofi del ‘900 e il più controverso psicoanalista dopo Freud). Massimo Recalcati è mio coetaneo e questo me lo rende probabilmente più intellegibile e condivisibile di altri, è senz’altro un ottimo saggista e un grande divulgatore. La sua trasmissione si intitola Lessico Civile e va in onda in seconda serata (dei palinsesti televisivi e delle programmazioni al tempo del coronavirus parleremo più avanti… certo è che la prima serata, e dunque la seconda, sono di molto slittate per chi come me ricorda il Carosello), la puntata di lunedì era quasi sovrapposta e quindi in concorrenza con RAI 1, dove trasmettevano non so che episodio di Montalbano che però ricordavo piuttosto bene. Il prof. Recalcati parlava, anzi esaminava e spiegava, il sentimento dell’odio e lo faceva servendosi delle immagini cinematografiche (cosa che, permettetemi di dirlo, mi ha molto inorgoglito), in realtà ho capito che comunque stava parlando d’amore attraverso una lucida disanima sulla vita e l’esperienza di vita vissuta che lui ha definito “più vita”, e la cosa mi è piaciuto assai (come direbbe Montalbano).
Con tutto il rispetto dovuto a un illustre pensatore e accademico come Massimo Recalcati, potrei semplificare un suo concetto, per usarlo all’abbisogna, scrivendo che il contrario dell’amore è la distanza più che l’odio, che invece ne è il doppio speculare. Ed è chiaramente la distanza (la separazione- mancanza) che sto e stiamo soffrendo: la distanza dal lavoro come dalle abitudini, sicuramente dagli altri e particolarmente dalle persone che amiamo, la distanza da noi stessi -in estrema sintesi- da ciò che eravamo. Un evento inatteso, dunque un trauma questa cattività da pandemia, insomma un’esperienza traumatica grave perché collettiva e che forse cerchiamo di esorcizzare continuando ad assimilarla alla guerra quasi come pensare alla guerra risulti erroneamente rassicurante in quanto prevede un nemico e una strategia per distruggerlo… e così continuiamo a cercare il colpevole per scaricare la rabbia e l’angoscia dimenticando che il Covid19 non è figlio del libero arbitrio ma del “cielo stellato”, ovvero del mondo sensibile intorno a noi; sarebbe quindi fuorviante paragonarlo ad una guerra, tipico frutto velenoso del determinismo degli uomini. Infatti oggi -e soprattutto domani- il grande problema è COME la libertà del volere umano possa affrontare e gestire (errori di percorso compresi) un prodotto del cielo stellato di kantiana memoria.