Mio figlio Francesco e io ci rincorriamo spesso al telefono. Da quando tutto questo è cominciato mi chiama tutte le mattine e sentirlo, malgrado i reciproci cellulari siano molte volte occupati, è una delle ragioni per cui inizio la giornata con il cuore che sorride. La nostra è diventata una comunicazione piena di affettuosi sottointesi che rendono le corde del nostro bene come le vibrisse di un gatto. È come se, parlandoci, scorressero in basso i sottotitoli, insomma tutti quegli aspetti, non espliciti, che ci rendono molto vigili: sensibili a ogni variazione del tono e attenti a ogni esperienza condivisa. Con Giovanni è più difficile ci si debba rincorrere. E’ un animale notturno e, al di là della frequenza delle chiamate, spenta la luce in camera della piccola Isabella, che peraltro è bravissima e non fa tutti i capricci che facevano suo padre e suo zio per andare a letto, e, cosa meravigliosa, si sveglia parlando e canticchiando, se così si può dire, comunque con un sorriso; lui si mette a lavorare al computer e, quando mi chiama, sono passate sicuramente le 23 quindi: o dormo e non rispondo, oppure il telefono è libero e ci facciamo lunghe e imperdibili chiacchierate che amo. Il rapporto tra il figlio maschio e la mamma? Unico e speciale, confermo, ma non è di questo che voglio parlare ma semmai del rapporto che ho io con il cellulare. Non saprei da dove cominciare quindi vi riporterò solo dati e osservazioni. Non mi manca la parola, ma preferisco quella scritta a quella detta. Devo essere stata marchiata da mia nonna, mia nonna Ida che meriterebbe un blog dedicata, che diceva sempre verba volant scripta manent… questo antico proverbio, che trae origine da un discorso di Caio Tito al Senato romano, insinua la prudenza nello scrivere, perché, se le parole facilmente si dimenticano, gli scritti sono incontrovertibili .
Dal morse al fisso, con filo o senza filo, dalla cornetta al cellulare, non sono nativa digitale e ho avuto tra le mani il mio primo telefonino negli anni ’90. Ma il telefono è un’invenzione di Meucci datata 1871. Nato come oggetto pubblico, tra posti telefonici pubblici e cabine, mia madre, abituata in albergo, non sapeva neanche infilare i gettoni, il telefono è diventato prima semi-privato, poi famigliare e infine personale. Mentre io son passata dall’infilare gli spinotti nel centralino a un Motorola starTAC. Oggi abbiamo accesso a tutta l’umanità e i cellulari diventano social network, scriviamo tantissimo ma ultra semplificato. C’è più fretta nel comunicare piuttosto che cura nel farlo. Nella dimensione socio-comunicativa dei rapporti umani il telefono cellulare è rivoluzionario.
Ci sono tre aspetti peculiari, dei tanti evidenziati dalla psicologia, che mi affascinano e che vivo quotidianamente sulla mia pelle in quest’esperienza del “senza” nel “ritz” vuoto. Sintetizzo utilizzando un linguaggio più specifico:
- Il cellulare si propone come estensione tecnologica del SE’-comunicativo dell’individuo. Dunque, la comunicazione vocale diviene, oltre che un articolato ed efficace sistema di comunicazione informativa, anche un canale di fondamentale rilevanza psicologica, emotiva e relazionale.
- Il cellulare lega il processo comunicativo direttamente all’individuo, e non più al suo contesto permettendoci di parlare da ogni dove e in ogni momento della nostra vita.
- Il cellulare svolge, oggi più che mai, un ruolo di supporto alla presenza, disabituandoci all’assenza-mancanza.
C’è sempre stato un motivo per tenerlo acceso: c’erano i figli piccoli, il marito lontano, a un certo punto il lavoro, mia sorella con i suoi malanni, mio madre che non stava bene… Ebbene, mia madre è morta, i figli son grandi, il lavoro ora non c’è, tanto che ho dirottato le telefonate del centralino del “ritz” al mio numero di cellulare, mia sorella ha di nuovo e finalmente i suoi figli a casa. L’esercizio quindi è: tenerlo spento o silenzioso, scrivere più sms che whatsapp, usare il computer e dunque le mail e il cellulare come telefono con meno chat e videochiamate possibili .
E tutto questo per spiegare e rispondere a Francesco che nella telefonata di stamattina mi domandava come si fa ad avere tutti i giorni la voglia di scrivere GLORIA? Come diceva la tua bisnonna Ida : scripta manent sed facta valent.