Di solito aspetto la sera per scrivere di e su GLORIA. Sono disciplinata, mentalmente ho bisogno di ordine… sempre per via di quel Colibrì che altrimenti mi fa andare ai matti. La sera, più o meno intorno alle 19, la hall spenta ma l’insegna del “ritz” accesa, mi siedo in ufficio a scrivere: metto in ordine e ricucio i pensieri del mattino, quelli del risveglio che scrivo nel portatile, più quelli che eventualmente mi appunto nel moleskine tarocco, raccolti durante la giornata, specialmente nella pausa pranzo. O cena? In realtà oramai faccio una colazione che dura tutta la mattina tra il tea con biscotti e una telefonata di lavoro dirottata dal centralino del “ritz”; il tea con un’arancia, oramai una tardiva ma, per questo, dolcissima, e una telefonata a sorpresa di qualche amico/parente; un’altra tazza di tè, probabilmente la terza, e un buondì, assieme a una telefonata attesa con le persone a me più vicine; e, fra biscotti, buondì, frutta, messaggi e whatsapp come non ci fosse un domani, arrivo a mangiare molto tardi o meglio molto presto la sera come i tedeschi o forse come i contadini di una volta.
La moleskine in questione, ha un titolo: Notes just for me, è molto bella, con copertina bianca rigida e le pagine con le righe, in questo momento sta nel mio zaino assieme a poche altre cose: il cellulare oramai incarnito, gli occhiali (più vicino – più lontano – più sole), portamonete (inutile per svariate ragioni sia pratiche che simboliche), fazzoletti di carta rigorosamente usa e getta (parentesi: ma qual è la differenza tra usa e getta o monouso? Di fatto vengono utilizzate alternativamente, come avessero significati diversi nelle descrizioni del kit di presidio e sicurezza indicato dal DPI per le strutture alberghiere), l’astuccio fatto da mio nipote Riccardo con penne, matite ed evidenziatore; nessuna chiave (altra parentesi: in albergo sono talmente tante che le ho dislocate strategicamente e quelle di casa mia sono state rimosse in ogni senso), più il famoso allarme (tipo il Beghelli che tengo al quinto piano) “uomo a terra” collegato con la SicurItalia e le forza di polizia di Abano; e infine il libro che sto leggendo (regalo tra i più azzeccati da mio fratello Simone: Fato e Furia di Lauren Groff)… dimenticavo: la mascherina.
Mi rendo conto che questa è soltanto l’introduzione per spiegare (qualcuno mi addebita un eccessivo ricorso alle motivazioni), come se ce ne fosse bisogno, perché sto scrivendo al mattino del giorno dopo, seduta nel mio ufficio-acquario (più che una parentesi questo meriterebbe una pagina dedicata, vi dico solo che sta tra la cella di Silvio Pellico, la camera della Woolf e la sedia di Alfieri). Mi accorgo anche che l’utilizzo esagerato di parentesi è pesante ma frutto di questo fuori orario che raccoglie troppi spunti: 37 ore invece di 24h.
Ieri mattina mi sono accorta che 3 delle 5 gru che vedo in lontananza dalla terrazza del quinto piano si muovevano. Ieri mattina la mia guardia-sceriffo mi ha chiamata per eccesso di zelo per sincerarsi, dopo un mese, che io c’ero ancora. Ieri la telefonata del mattino con Francesco, il mio secondogenito preferito, è stata più significativa del solito. Ieri intorno alle 14 ho fatto una lunga, gratificante confronto telefonico con un’amica-collega che ha risposto, come altre 54 imprenditrici del mondo dell’accoglienza e dell’ospitalità italiana, alla mia chiamata per creare AIDDA for tourism. Durante la lunga telefonata con una mano tenevo il cellulare e con l’altra la pompa-pitone per innaffiare il giardino davanti (avevo la coda di paglia e mia sorella nel pomeriggio sarebbe venuta al “ritz”). Amo parlare camminando e facendo, ma non perché, o non solo perché, come molte donne (e sorrido pensando a chi mi legge) io sia multitasking, ma credo piuttosto dipenda dalla necessità di muovermi fisicamente mentre mi si muovono i pensieri… un po’ come gesticolare o forse è solo un riflesso istintivo per dare corposità alla discussione. Con mia sorella, e sempre nel pomeriggio, e sempre passeggiando, intorno alle piscine vuote, abbiamo cominciato a programmare alcune (e non 2) fasi pratiche da compiere nei prossimi giorni per la riapertura, e non so se sperarla o meno, ma ero stanca solo al parlarne. Per fortuna il mio pensiero laterale è stato travolto dalla pubblicazione di un articolo omaggio a GLORIA pieno di amore. Sul pensiero laterale vi prendo due minuti e qualche riga. Edward de Bono (psicologo maltese, massimo esponente della ricerca del pensiero creativo) afferma che sia possibile imparare a pensare, anche, aggiungo io, in modo diverso, grazie alla capacità umana del cosiddetto “pensiero laterale”. Ma cosa significa esattamente? Il pensiero laterale è di natura intuitiva e si pone quindi come una vera e propria alternativa al “pensiero verticale”, ovvero quello logico e consequenziale, condizionato dagli eventi e dagli ambienti, che a volte ci rende ingabbiati (è il caso di dirlo) e limitati nel nostro modo di vedere, interpretare e di conseguenza interagire con la realtà che ci circonda. Alla fine, passando il tempo, i nostri pensieri, diventano convinzioni sempre più radicate e sedimentate. Il pensiero laterale assume la funzione di potenziale “scardinatore” delle convinzioni e delle logiche ormai date per scontate, permettendoci un cambio di prospettiva. E in tutto questo anche la creatività, sempre secondo de Bono, ricopre un ruolo chiave, ovvero quello di catalizzatrice di intuizioni, permette cioè di affrontare le situazioni creando nuovi percorsi di pensiero spesso risolutori.
C’è stata alle 18.00 una bella, ma triste call con gli amici del Consiglio della Strada del Vino dei Colli Euganei che a causa della chiusura di bar, ristoranti e alberghi hanno perso buona parte del loro ricavo. Mi facevano notare che in Cantina tutti si sono messi a spingere le vendite online ai privati e tutti le hanno quasi raddoppiate così, con un sorriso amaro e facendo due conti hanno salvato invece che il 5% del loro intero fatturato poco più dell’8%. Bene così. Insieme si stava pensando, con un po’ di sano cinismo, ad una etichetta COVI dalle cantine di Vo Euganeo annata ‘19-‘20. Edizione speciale e limitata per collezionisti. La sera ho risposto poi ad un paio di mail diciamo impegnative: alle mie due banche sulle quali non spenderò qui una solo parola, mai. E poi, dulcis in fundo, mi sono presa il tempo di scrivere a Chiara, un’amica AIDDA anche lei, che è una imprenditrice bella, brava e molto importante: consigliere d’amministrazione di una multinazionale di famiglia che sviluppa e produce dispositivi per la misura dei consumi e sistemi per la sicurezza degli apparecchi domestici a gas, che mi aveva conquistata con una chiamata di stima e solidarietà. Della lunga mail che le ho inviato vi riporto, poche righe, perché molto mie: …di fronte a quanto successo, certamente, se non l’abbiamo fatto prima con il curculionide delle palme o con il disgelo dei ghiacciai, dovremo parlare di “crisi della mezza età” della globalizzazione… Linguaggi diversi hanno parlato tutti insieme e, attraverso gli stessi canali amplificatori, hanno creato una vera e propria Torre di Babele. Me la immagino così, come la Grande Torre di Bruegel, che rappresenta l’episodio, contenuto nel libro della Genesi, in cui si narra di una città che era stata costruita da un popolo ancestrale che dominava la terra in unione pacifica, avente una sola lingua come prova della loro superiorità. Ma il Signore intervenne creando scompiglio, confondendo la loro lingua, perché non si comprendessero più l’uno l’altro… e vennero così dispersi su tutta la terra… Non hai avuto anche tu, cara Chiara, l’impressione di una comunicazione concretamente e simbolicamente cacofonica? Dovremmo quindi cercare un nuovo linguaggio comune, una comunicazione univoca per l’uomo che si trova tra azienda ovvero il proprio lavoro e scienza ovvero la salute dentro e attorno a sé? Sarebbe osare troppo sperare in una lingua ausiliaria, come fu l’esperanto, quando si parla a livello universale di salute, di più, di salvezza?