Col ritratto mondano diede il via all’icona della donna moderna
La più completa ontologica mai dedicata al pittore livornese ospitata a Palazzo Zabarella, gli anni giovanili poi Parigi e la gloriosa stagione italiana.
Non basta la bravura per contare veramente nella storia dell’arte. Un artista deve cercare di lasciare il segno, quel segno che Corcos impresse prendendo la tradizione del ritratto, mantenendo la fedeltà figurativa e allo stesso tempo trasformando sembianze individuali nel ritratto fedele di un’epoca: la Belle Époque.
Senza mai abbandonare il disegno, il segreto di Vittorio Corcos fu una vista acuta, che vedeva non solo dentro ma anche oltre al soggetto, dentro e oltre al realismo. Nato a Livorno nel 1859, l’artista si formò tra la città natale, Firenze e Napoli.
Nella giovinezza conobbe il successo di Parigi del quale fece a meno quando tornò a Firenze e approdò al suo stile inconfondibile.
Provenendo da una famiglia ebrea libvornese, Corcos conobbe l’intensa vivacità che caratterizzava il centro mercantile e cosmopolita caratterizzato da Livorno. L’Unità d’Italia contribui a creare un clima di di forte rinnovamento che favorì fattori come l’emancipazione e la modernità. Fu da Giuseppe Baldini che Corcos apprese i primi rudimenti della formazione pittorica, si formò successivamente all’Accademia di Firenze e a Napoli dove aleggiava l’influenza di Domenico Morelli.
Ventenne si recò a Parigi dove riuscì ad entrare nel salotto di De Nittis e nella sua cerchia di amici illustri: Manet, Degas, Caillebotte, Edmond de Gouncourt, Zola. Apprese la lezione del romanzo naturalista, dove il misero valeva quanto il nobile ed era priva di pregiudizi. L’amicizia con De Nittis gli favorì l’accesso alla Maison Goupil, una ditta che riproduceva dipinti in fotocromia per calendari, riviste, pubblicità. Partecipò, inoltre, ai Salon parigini con tranches de vie, osterie e omnibus, descritti alla maniera del romanzo in voga, senza partecipazione emotiva.
Ma furono “le giovani donne gioiese” che catturarono la sua ispirazione e furono il tema portante nel quale non ebbe rivali: languidi ritratti, carni fiorenti e sguardi maliziosi.
Nel 1886 rientrò in Italia, l’arte parigina che definiva “imbellettata e incipriata”, lo sfiancò. A Firenze avviò quindi la fase del ritratto moderno, ne diventò interprete ricercato e corteggiato dalle celebrità, dall’alta borghesia e dalle teste coronate.
Fu in un’intervista del 1907 a Ugo Ojetti che Corcos rivelò il suo segreto: mangiare assieme al suo soggetto, coglierne debolezze e qualità e successivamente fissarne il volto con pennellate franche e sciolte. Un’esecuzione molto accurata, sorretta dal disegno come negli antichi maestri, affinché la modernità non frantumasse le figure. Il rigore che l’artista si imponeva aveva un più libero controcanto nell’ideale della donna moderna, appassionata e inquieta. Mentre nei paesaggi marini e campestri si prendeva tutte quelle libertà pittoriche che il ritratto non consentiva.
Corcos amava in maniera particolare Castiglioncello, dove ambientò “In lettura sul mare”, un dipinto virato sui toni freddi del bianco, permeato di una luce immota come l’aria, dominato dal silenzio enigmatico di pensieri segreti. Fattori che rivelano l’attrazione di Corcos per il simbolismo.
La mostra “Corcos. I sogni della Belle Èpoque” durerà fino al 14 dicembre. Curata da Ilaria Taddei, Fernando Mazzocca e Carlo Sisi, presenta oltre 100 dipinti dell’artista livornese.
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