Due parole definirono la donna che fu un fenomeno artistico, mediatico e di costume: talento e determinazione
di Luciana Boccardi
Nata il 2 dicembre del 1923, la sorte le diede in dono una voce straordinaria, non solo per potenza e affinità elettiva con il “bel canto”, ma anche per il timbro inconfondibile, talvolta aspro, capace di arrampicarsi con naturalezza a note da capogiro.
Ma la sorte le assegnò anche un fisico massiccio, che la rendeva sgradevole prima di tutto a sé stessa; e una famiglia ricca di scontri e incomprensioni e povera di mezzi. Aggiungendo le difficoltà legate al conflitto mondiale che la vide ragazzina, figlia di emigranti in terra straniera, non si può certo pensare che quel talento, da solo, potesse essere una garanzia di fama e successo.
Fino a quando non scoprì l’amore per l’uomo della sua vita, Aristotele Onassis, tutto il temperamento greco di Maria Anna Sophia Cecilia Kalogeropoulos si espresse nel canto, nella musica. Poco importa che il luogo di nascita fosse New York, città simbolo dell’America, promessa di riscatto da infauste condizioni del paese d’origine.
Le radici della Callas erano greche, la stessa Grecia di cui Omero ha tramandato il phatos e l’eroismo. La passione si riconosce nella dedizione assoluta alla vocazione artistica, l’eroismo nella ricerca della perfezione, nello studio maniacale che non si accontenta di una voce “divina” ricevuta in dono dalla sorte. Maria sa che la sorte non va sfidata, anzi, bisogna assecondarla, affinando il talento naturale con lo studio.
La musica fu per la Callas anche l’unica porta verso un mondo che racchiudeva ogni bellezza, una sintesi di sentimento e lirismo ineguagliabile, capace di fondere fisicità, sentimento, spirito. Rifugio e ispirazione che trasportavano la cantante e il suo pubblico ad altezze sublimi, immemori di quotidiane meschinità.
Il temperamento passionale e un carattere determinato fino alla testardaggine, reso brusco e spigoloso da una fragilità tipica di eroine d’altri tempi, la sostennero, la guidarono, talvolta la travolsero: sopra ogni cosa contava la volontà di imporre il proprio talento, approdare ai templi della lirica mondiale ed esservi acclamata regina. Significava teatri leggendari, partiture dei massimi compositori d’opera, viaggi da un capo all’altro del mondo, in anni in cui attraversare l’oceano su un aereo non era certo consuetudine diffusa.
Quando il suo nome si affermo, la fama si tradusse anche nella frequentazione del jet set internazionale. Più che uno svago o un divertimento, per la Callas un ulteriore impegno, talvolta snervante.
Cosa permise a Maria di diventare la Callas?
Solo il talento, dicevamo, non sarebbe bastato. Maria volle diventare la Callas, il suo personaggio fu minuziosamente costruito, perfino nel fisico. Per quella voce capace di salire in modo “naturale” le scale musicali, quasi correndo leggera, c’era bisogno di un corpo etereo, altrettanto lieve, la cui eleganza, innata o studiata che fosse, potesse esprimersi anche nell’aspetto esteriore.
Il talento infine fu riconosciuto, ma la felicità le fu sempre negata. Solo in teatro il destino, avaro di gratificazioni affettive, lasciava la presa e Maria era felice. Spente le luci e zittita la musica, la malinconia, il nervosismo, l’aggressività, quasi lati oscuri della medesima forza passionale sprigionata sulle scene, dominavano la Divina. Lei stessa distingueva Maria dalla Callas, come si trattasse di due persone distinte, opposte nel destino. Eppure talmente unite che, terminata la parabola di successo della cantante, anche la donna si arrese.
Oggi è diffusa la convinzione insensata che con un po’ di fortuna si può ottenere notorietà e ricchezza. Come in un gioco d’azzardo con l’esistenza si scommette sull’occasione fortunata considerando zavorre l’impegno e la fatica.
Parlare della Callas oggi non significa solo ricordare giustamente una donna straordinaria. Ogni persona trasformata in “mito” ha senso di rimanere nell’immaginario collettivo solo se da ogni singolare vicenda si può imparare qualcosa.
Maria Callas è un esempio di dote naturale eccezionale sottoposta a esercizio continuo, di determinazione tradotta in obiettivi irrinunciabili, di passione artistica esaltata anche da uno studio instancabile. Perché il vero genio, il vero talento, non dimentica il rischio di fallire, non cede alla tentazione della presunzione, forse si inebria di se stesso, ma nel profondo sa che l’eternità gli è negata. Questa consapevolezza interiore infonde realismo a ogni azione, perfino a ogni sregolatezza.
Chi guarda al mito come modello da emulare, ricordi che non tutti i talenti, se pur coltivati, approderanno al podio del successo, ma certamente sono un’opportunità per chi li possiede. In ogni caso, in questi tempi di bando allo spreco, le risorse individuali sono le prime a dover essere difese e fatte crescere.