Il mercato dell’arte del sei-settecento è spesso considerato chiuso e nelle mani di pochi. In realtà proprio negli ultimi anni sta avvenendo una rivoluzione silenziosa, capace di rimettere in discussione attribuzioni affrettate e attraverso l’uso combinato di metodologie differenti, scovare capolavori nascosti sotto dipinti apparentemente modesti, aprendo nuovi e affascinanti dibattiti. Il merito di questo “Rinascimento delle attribuzioni” va ad un team di esperte, tutto al femminile, che coniuga competenze, intuito e la capacità di esplorare nuove strade, utilizzando anche le metodiche più avanzate in campo tecnologico.
Caratteristiche queste, tipiche dell’universo femminile e magistralmente messe in pratica da un gruppo di donne, che trova a Firenze il suo luogo d’incontro e di lavoro privilegiato, ma che opera a livello internazionale. In questo collettivo gioca un ruolo centrale, la storica dell’arte inglese, Susan Grundy, direttore di Mnajdra Discerning Fine Arts SL.
Grazie al suo intuito, alla competenza storico-artistica nonché al suo coraggio nell’andare a fondo e investigare le fonti, e grazie all’impiego di indagini diagnostiche diverse, ha riportato alla luce eccezionali opere d’arte precedentemente considerate copie. L’impiego di indagini diagnostiche all’avanguardia rappresenta un aspetto ormai imprescindibile nella possibilità di riconoscere un’opera d’arte. Di un dipinto è possibile oggi scoprire ogni segreto grazie alla tecnologia, ma i risultati che le macchine più moderne offrono, vanno interpretati, capiti, identificati. E qui che entra in gioco la competenza di Anna Pelagotti, attraverso il laboratorio Art Test e le tecniche di ottica non invasiva (riflettografia infrarossa IR di dipinti, fluorescenza, radiografia, termografia, modelli 3D di opere, ecc.).
Molto spesso la natura originaria di un’opera d’arte è nascosta dalle pessime condizioni nelle quali versa; il contributo di un restauratore diventa allora indispensabile per riscoprirne la bellezza, permetterne l’autentificazione o offrire la possibilità di una nuova attribuzione. Roberta Lapucci è la restauratrice che in questo team rosa ha il compito di restituire i capolavori alla loro condizione originaria, di farli risplendere come l’autore li aveva creati.
Mina Gregori, professore emerito dell’Università di Firenze, ha più volte messo a disposizione di questo team le sue ineguagliabili competenze nel settore dell’arte moderna. Un vita passata a comparare opere, a esaminarle nei dettagli più minuziosi, una passione straordinaria, così come straordinaria è la sua conoscenza dei maggiori artisti – e anche dei minori – del ‘600 e del ‘700 e delle loro tecniche.
Mina Gregori ha confermato con la sua attribuzione certificata l’originalità di un ritratto di Johan Zoffany, recentemente presentato a Firenze in anteprima mondiale.
Le opere
L’attività di questo collettivo di donne negli ultimi tempi si è concentrata su alcune opere le cui potenzialità sono state a lungo nascoste. Il primo caso riguarda un autoritratto precedentemente considerato una copia, ma ora ufficialmente attribuito all’artista Johan Zoffany. Si tratta di un bozzetto preparatorio, anteriore all’autoritratto di Cortona, molto probabilmente dipinto dallo Zoffany durante il suo soggiorno fiorentino. Il quadro era stato venduto ad un’asta come una copia, adesso il suo valore è notevolmente aumentato grazie al lavoro di Susan Grundy e delle altre esperte che collaborano con lei.
Molto interessante è anche la storia di un altro dipinto. Ritenuto una maniera di Van Dyck, la tela Lady Diana Contessa di Oxford è stata attentamente restaurata nel workshop fiorentino di Roberta Lapucci. La vera bellezza del dipinto era nascosta sotto pesanti strati pittorici, probabilmente aggiunti nel corso di vari restauri nei secoli, e devastata dal passare del tempo. Rigorose analisi scientifiche ora annoverano la sua autenticità. Non può più essere considerato una copia tarda e potrebbe anche essere uno degli originali, dal momento che Van Dyck dipinse più di una versione. Infine un altro dipinto è al centro del nostro collettivo di investigatrici dell’arte. Si tratta di una tela acquistata come opera di un seguace di Rembrandt – secondo la casa d’aste si trattava di un’opera eseguita nello stile dell’artista ma da qualcuno non alla sua altezza -. Studi approfonditi hanno invece evidenziato elementi caravaggeschi non riconosciuti precedentemente; adesso la tela è stata attribuita ad un Anonimo caravaggesco e si ipotizzano somiglianze con opere di van Dyck.