#Ravensbrück e l’ordine di #Hitler: “Eliminare le donne non conformi”
Oltre 130.000 donne, dal maggio del 1939 al fine aprile 1945, hanno vissuto le atrocità del campo di sterminio di Ravensbrück. Provenienti da 20 nazioni in 50.000 sono state barbaramente massacrate.
Ravensbrück è stato l’unico campo di concentramento femminile progettato da Adolf Hitler
Le donne che nella sua mente criminale erano identificate come “non conformi”, ossia prigioniere politiche, lesbiche, rom, prostitute,disabili e donne semplicemente giudicate “inutili” dal regime, dovevano essere eliminate.
Non è molto conosciuta la triste storia di Ravensbrück. Il campo di concentramento si trovava a 90 km a nord di Berlino e solo in questo ultimo periodo è stato riportato agli onori della cronaca dall’Independent, il quotidiano britannico, che ha dedicato una intera pagina al terribile lager e al libro scritto dalla giornalista Sara Helm “Ravensbrück: If this is a woman”. Titolo che evoca l’opera di Primo Levi.
La giornalista afferma: “Poco dopo aver scritto il mio primo libro, nel 2005, mi venne chiesto su cosa avrei voluto lavorare, subito dopo. Pensai subito a Ravensbrück, perché era una storia di donne straordinarie, di estremo coraggio, ma anche di estrema sofferenza e brutalità e non era ancora stata raccontata, almeno non in modo che la gente ascoltasse.” Sempre secondo la Helm, le ragioni per cui Ravensbrück è rimasto ai margini della storia, sono diverse. “Il campo era relativamente piccolo, non rientrava nella narrativa dominante dell’olocausto, molti documenti poi sono stati distrutti, inoltre il lager è stato per anni nascosto dietro la cortina di ferro.”
Sarah Helm nel suo libro è riuscita con fatica e meticolosità a raccogliere le testimonianze di alcune sopravvissute e soprattutto l’autrice fa emergere che tra i motivi che hanno portato Ravensbrück a rimanere nascosto vi è anche la riluttanza delle vittime a parlare.
“Chi è riuscita a tornare a casa, spesso si vergognava per quello che aveva subito, come se fosse stata colpa sua. Parlando con diverse donne francesi, mi è stato detto che l’unica domanda che veniva rivolta loro, era se fossero state stuprate. Altre mi hanno raccontato che, quando si decisero a parlare nessuno credette a quelle storie orribili.” Racconta Helm, ricordando che invece, in Unione Sovietica, le sopravvissute rimasero zitte per paura. Secondo Stalin i russi dovevano combattere fino alla morte, quelli che erano stati catturati, potevano accusati di tradimento, indagati e spediti in altri campi di detenzione, questa volta in Siberia.
“Eppure nulla spiega davvero l’anonimato di questo campo.” Continua Helm. “I nazisti hanno commesso atrocità nei confronti delle donne, in molti altri posti. Più della metà degli ebrei uccisi nei campi di concentramento, erano donne. Ma come Auschwitz era la capitale dei crimini contro gli ebrei, Ravensbrück era la capitale dei crimini contro le donne.” Le violenze atroci perpetrate nel lager, infatti erano specifici, crimini di genere, tra i più comuni, sterilizzazioni, aborti forzati e stupri.
“Forse gli storici mainstream –quasi tutti uomini- semplicemente non si sono interessati nello specifico a cosa accadesse alle donne. Eppure ignorare Ravensbrück significa ignorare una fase cruciale nella storia del nazismo. I crimini commessi qui non erano solo crimini contro l’umanità, ma crimini contro le donne.”
Negli ultimi mesi della guerra, nell’autunno del 1944, dopo che Himmler aveva ordinato la sospensione delle camere a gas, Ravensbrück ricevette un ordine diverso. Qui, in una baracca vicino al forno crematorio, venne costruita una camera a gas provvisoria, utilizzando componenti provenienti anche da Auschwitz.
6 mila donne vennero uccise, asfissiate. “Fu l’ultimo sterminio di massa del regime nazista”, scrive Helm. “Eppure è stato ignorato dalla storia per un lunghissimo periodo”.
Per approfondimento consigliamo
Le donne di Ravensbrück di Lidia Beccaria Rolfi, Anna Maria Bruzzone
Il ponte dei corvi. Diario di una deportata a Ravensbrück di Maria Massariello Arata
L’autrice, figlia di un socialista perseguitato dal fascismo, partecipò alla Resistenza a Milano, svolgendo propaganda illegale e organizzando rifornimenti per i partigiani. Arrestata con il suo gruppo nel 1944, Maria fu condotta nel campo di prigionia di Bolzano e da qui deportata nel lager femminile di Ravensbrück, 90 km. a nord-est di Berlino, dove negli anni fra il 1939 e il 1945 passano circa 130.000 donne e fanciulli di 20 nazioni. In questo diario l’autrice racconta il lungo calvario di sofferenze, dal terribile viaggio verso la deportazione ai tragici mesi trascorsi nei lager, al rischioso ritorno in patria.