Si festeggiano oggi i 112 anni della nascita del grande scrittore Argentino Jorge Luis Borges anche attraverso il doodle di google.
Chi ancora non conosce questo scrittore, sappia che nel trovarsi di fronte un suo racconto, un suo saggio o una sua poesia potrebbe rimanerne affascinato o straniato, ma mai indifferente. Potremmo a buon diritto definirlo uno dei padri del post-modernismo letterario, ma ciò significherebbe anche sminuire la sua figura.
Boges ha infatti un ruolo principale nel panorama culturale internazionale tanto da diventare autore di culto per grandi scrittori come Umberto Eco, che su di lui basa uno dei personaggi de “Il nome della Rosa” Jorge da Burgos, come tributo al suo genio, o come Calvino, Soriano, Sciascia, Philip K. Dick e tanti altri.
La ragione di questa sua notorietà, nonostante non abbia mai ricevuto il Nobel, (ma poté ben fregiarsi di 23 lauree Honoris Causa) sono le sue intuizioni. Già negli anni 60 concepisce la letteratura come fenomeno universale e si nutre di maestri provenienti dai quattro angoli del mondo. E intanto sdogana concetti quali quelli dell’opera d’arte infinita, idea espressa per esempio nel racconto “Il libro di sabbia”. È noto anche per aver fatto del fantastico una realtà da tutti i giorni, un evento che può essere compreso nella quotidianità, grazie al suo stile profondamente realistico che spesso coglie i protagonisti dei suoi scritti impreparati di fronte ad una manifestazione miracolosa. Spesso questo scrittore sembra chiedersi: come sarebbe se un giorno qualunque un tizio entrasse e mi presentasse una meraviglia? Come reagirei?
Il fantastico di Borges non è mai fine a se stesso, ma intriso di elementi spirituali, metafisici e filosofici, come nel racconto “l’Aleph” che gli diede popolarità e che rimane ancora oggi uno dei suoi racconti più riusciti. In Aleph di fatto si ispira indirettamente alla Divina Commedia dantesca (per Borges si è scomodata la definizione di dantismo immanente), ma in esso è possibile cogliere anche concezioni della filosofia del ‘600, come quella delle Monadi di Leibniz.
Ancora oggi l’aggettivo boregesiano definisce la realtà come fiction, come opera contraffatta spacciata per vera, per reale. Ogni volta che torno alle sue parole rimango ipnotizzato e attaccato alle sue pagine senza potermene staccare. E dopo ogni racconto sono come basito, straniato, incredulo di fronte allo spettacolo che mi si è aperto davanti agli occhi.