È possibile che il tempo passato davanti alla TV determini la qualità di ciò che stiamo vivendo? Lo so che può sembrare una domanda supponente, ma mi sono accorta di passare oramai intere giornate senza neanche accenderlo il televisore. A casa mia ho disdetto Netflix perché alla fine non riuscivo mai a sfruttarlo. La mattina appena sveglia leggo, la sera svengo nel letto e mi disturba dimenticarmi il televisore acceso perché mi sveglia in piena notte e poi ci metto un po’ a riaddormentarmi. Durante la giornata, se per caso la quotidianità lavorativa mi lascia un po’ di tempo libero, ho mille cose da fare per me e, ultimamente, mi è indispensabile stare fuori all’aria aperta e alla luce appena possibile quasi fossi diventata claustrofobica. Da quando è iniziata la pandemia ho cominciato, giorno dopo giorno, a scansare: notiziari, talk show, blabla e telegiornali. Le interruzioni pubblicitarie mi sembrano sempre più numerose e meno fantasiose, lunghe e con il volume magicamente più alto e questo mi infastidisce. A dire il vero mi sto rendendo conto di usare spesso il vivavoce quando parlo al telefonino perché i suoni mi sembrano tutti troppo alti, sono diventata una specie di sorda al contrario. Seguire film, il più delle volte già visti, documentari vecchi o quiz stupidini, mi fa fatica. Quasi soffrissi di un difetto di attenzione. Il palinsesto mi sembra noioso e mi distrae qualsiasi altra cosa. Non è un atteggiamento snob, solo che a me la TV non fa compagnia, preferisco la musica o i libri o GLORIA. Nella camera che occupo nell’appartamento di mia madre, al quinto piano, la televisione è piccola e questo non l’aiuta a essere attraente. Rispetto a questo fantomatico appartamento, in realtà trattasi di un pezzo di corridoio che mi padre isolò con una porta e che mia madre aveva arredato con mobili di varia derivazione tipo rigattiere di lusso e con pezzi di moquette di risulta. Per i miei genitori la Casa non era importante. Per papà che amava fare, sperimentare, disfare e costruire, in maniera compulsiva, la casa era una ricovero la cui stabilità accogliente non era un requisito fondamentale; mentre mia madre, lei abitava tutto l’albergo dove investiva creatività, eleganza, risorse economiche nonché una dose inesauribile di energie. Dotati di un’intelligenza troppo vivace, non erano in grado di essere ordinati eppure sapevano essere, entrambi, organizzatissimi. Mi è venuta in mente, proprio oggi, un’immagine sovversiva e divertente, tenera e triste insieme: mia madre e mio padre erano due diversamente-fricchettoni. Sopra ogni cosa c’era il ritz o comunque quello che rappresentava, in maniera diversa, per loro due. Quando mia madre decise, nel 2016, il suo personale lockdown al quinto piano dell’albergo, non è stato possibile cambiare nulla, trasformare nulla, niente, ai suoi occhi, poteva essere reso migliore o più funzionale: ossessivamente abitudinaria, lei voleva “sentirsi” in albergo perché quella era casa. E, alla fine, quando si era stancata anche di parlarmi, io le raccontavo la vita del ritz: era questo il nostro lessico famigliare e mi toccava parlare a voce alta per sovrastare il volume del suo televisore sempre acceso… ecco, forse, una delle ragioni profonde per cui mi sono disamorata della TV.