PROBLEMATICHE ATTUALI DONNE POLITICA E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

DONNE,POLITICA E SOCIETA’: NUOVI SCENARI-TERZO INCONTRO

Tra Maggio e Giugno del 2010, a Padova, è stato organizzato dalla Fondazione Marisa Bellisario, con il contributo della Regione del Veneto, un ciclo di incontri formativi incentrati sul definire il nuovo ruolo che la donna sta acquisendo all’interno della società, anche lavorativa, e le prospettive avvenire.
I temi affrontati, dal sistema dei partiti al ruolo della donna, dal leadership al lobbying, hanno voluto fornire indicazioni utili ad una maggiore partecipazione delle donne alla politica, rivolgendosi in modo particolare alle Associazioni Femminili, alle imprenditrici, alle manager, alle studentesse universitarie, alle componenti dei Comitati per le Pari Opportunità, il tutto con la partecipazione di esperti, docenti universitari e esponenti dell’ambiente politico, imprenditoriale e associativo.

La prof.ssa Alisa Del Re, partendo dall’analisi dei dati delle ultime elezioni regionali, ha stilato un profilo delle problematiche che attualmente sono legate al ruolo della donna nella politica e nella pubblica amministrazione. Ne è emerso che la Calabria non ha eletto nessuna donna e la Basilicata una sola consiliera, mentre i dati delle altre regioni si collocano all’interno del range 0% – 23%. Diverse regioni presentano percentuali di elette al di sotto del 10%, in particolare la Puglia (5,1%), il Veneto (6,7%) e la Lombardia (8,7%) mentre tra il 10% ed il 20% si collocano i risultati della Liguria (15%), delle Marche (16,3%), dell’Umbria (16,7%), del Lazio (17,8%) e della Toscana (18,2%). L’Emilia Romagna ha eletto il 22% di donne. Un caso che suscita interesse è quello della Campania, dove nella parte proporzionale sono state elette 14 donne contro le 2 del 2005, grazie ad un ingegnoso sistema di preferenza aggiuntiva, valida solo se assegnata ad una persona di genere diverso da quello della prima preferenza.
Le donne mancano negli apparati dirigenziali di prima e seconda fascia della Pubblica Amministrazione italiana e più ancora mancano nei vertici della politica, questo è il risultato di un’indagine condotta da FORUM PA per l’Osservatorio Donne nella PA in collaborazione con futuro@lfemminile e INAIL – che riprende e aggiorna i dati già rilevati nel 2008 – e presentata al FORUM PA 2010.
E’ il “rating delle Pari Opportunità” nelle Regioni, Province e Comuni capoluogo in Italia che incrocia – in un indice sintetico – la percentuale media della componente femminile all’interno di Consigli, Giunte e Apparati dirigenziali. Il Conto Annuale della Ragioneria generale dello Stato rileva che, di fatto, il 55,1% dei dipendenti pubblici a tempo indeterminato è donna: se la componente femminile continua a crescere finanche nei settori dov’è tradizionalmente minoritaria, non altrettanto accade ai livelli apicali. In generale ad influire in negativo sul dato complessivo è sempre la componente politica, infatti a livello dirigenziale il dato medio è complessivamente più alto, Torino, ad esempio, ha complessivamente un 18% di donne ai vertici politici, il 26% alla dirigenza apicale e il 42% nella seconda fascia. Il gap geografico tra Nord e Sud sembra confermato : ai vertici della classifica ci sono i Comuni, le Province e le Regioni del Nord, fanalini di coda le amministrazioni del Sud, con le eccezioni del comune di Treviso al 103° posto, Venezia al 68° e Palermo al 13°. Per quanto riguarda i Comuni capoluogo Maglia rosa al Comune di Forli’ con il 36,14% di presenza femminile ai vertici; poco distanti il Comune di Ravenna (35,23%), quello di Torino (33,23%), Genova (33,54%) e Padova (33,33%). Foggia, Avellino e Benevento  – tutti al di sotto del 6% – occupano le ultime tre posizioni. Solo 6 donne (erano 8 nel 2008) sono sindaci; 12 donne (qualcosa in più delle 8 nel 2008) sono a capo dei Consigli comunali: ma quasi tutti i comuni con sindaci e presidenti di consiglio donna si attestano al di sopra del valore medio. Per quanto riguarda le Regioni, invece, confermano il posizionamento del 2008, con un dato interessante: tra le prime posizioni il valore medio si è abbassato in modo sensibile; la Regione Lazio, per esempio, oggi al 33,73%, aveva una media percentuale del 45,97% nel 2008. Per quanto riguarda le Province è’ l’unico dato per il quale non è possibile un confronto, non essendo stato rilevato nel 2008. Nelle Province la media della componente femminile è al 18,31%. In generale ci sono 18 province con Presidenti di Giunta o di Consiglio donne: di queste,13 sono al di sopra della media e ben 5 sono tra le prime 7 posizioni. Nello specifico: prima in classifica con il 39,02% la Provincia di Trieste, seguita da Pistoia (37,04%) e Reggio Emilia (36,67%). Ultime in classifica Agrigento (4,69%) e Avellino (3,92%).
Secondo i dati del Ministero dl Lavoro la media italiana del lavoro delle donne è del 46,4%, con il 56,1% in Lombardia, il 61,5% in Emilia Romagna ed il 53,9% in Veneto. In queste regioni le donne lavorano parecchio (più delle coetanee europee) anche perché il part time è scarsamente diffuso. Raggiungono addirittura il 70% del tasso di occupazione nelle coorti delle giovani in età fertile. Poi l’occupazione scende al di sotto della media europee nelle coorti più anziane, risultato del nostro sistema previdenziale e della scarsa occupazione delle generazioni precedenti, inoltre le donne lavorano anche in abito domestico (più delle europee anche qui). Il problema è che in queste regioni le donne, come tutte le italiane, fanno pochi figli e quindi c’è forse una correlazione tra scarsità servizi, poche donne al potere e natalità. Si tratta di costruire una felice coincidenza e convivenza tra donne pro-attive, al potere e al lavoro. Il Decreto 150/2009 (Decreto Brunetta) è una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, intervenendo in particolare in materia di contrattazione collettiva, di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche, di valorizzazione del merito, di promozione delle pari opportunità, di dirigenza pubblica e di responsabilità disciplinare e citando l’Art 8 (Ambiti di misurazione e valutazione della performance organizzativa) 1. Il Sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa concerne: a) l’attuazione delle politiche attivate sulla soddisfazione finale dei bisogni della collettività;
b) l’attuazione di piani e programmi, ovvero la misurazione dell’effettivo grado di attuazione dei medesimi, nel rispetto delle fasi e dei tempi previsti, degli standard qualitativi e quantitativi definiti, del livello previsto di assorbimento delle risorse; c) la rilevazione del grado di soddisfazione dei destinatari delle attività e dei servizi anche attraverso modalità interattive;
d) la modernizzazione e il miglioramento qualitativo dell’organizzazione e delle competenze professionali e la capacità di attuazione di piani e programmi;
e) lo sviluppo qualitativo e quantitativo delle relazioni con i cittadini, i soggetti interessati, gli utenti e i destinatari dei servizi, anche attraverso lo sviluppo di forme di partecipazione e collaborazione; f) l’efficienza nell’impiego delle risorse, con particolare riferimento al contenimento ed alla riduzione dei costi, nonché all’ottimizzazione dei tempi dei procedimenti amministrativi;
g) la qualità e la quantità delle prestazioni e dei servizi erogati; h) il raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità.
Il Fattore PO è all’ultimo posto nell’elenco riportato nell’articolo 8 (Ambiti di misurazione e valutazione della performance organizzativa) e questa sua posizione lascia trapelare una qualche marginalità assegnata alla questione dagli estensori del decreto, probabilmente spinti a farsene carico dalle sollecitazioni provenienti dal Dipartimento per le Pari Opportunità. Si consideri ancora l’art 13 (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche), comma 5, che indica tra i compiti di indirizzo e coordinamento della Commissione nei confronti degli Organismi indipendenti quello di “favorire la cultura delle pari opportunità con relativi criteri e prassi applicative” e l’art. 14 (Organismo indipendente di valutazione della performance), comma 4, che annovera tra le responsabilità dell’Organismo la “verifica dei risultati e delle buone pratiche di promozione delle pari opportunità”.
Si tratta di riferimenti ancora molto generici, che richiedono, approfondimenti e sperimentazioni. Si tratta in altre parole di costruire un sistema di misura delle pari opportunità all’interno di un’organizzazione, che permetta almeno di individuare gli obiettivi di miglioramento percorribili nell’ambito della normativa esistente, dei quali verificare il grado di raggiungimento a fine periodo.
La presenza di donne nei consigli di amministrazione è un argomento diventato ‘di moda’, infatti se ne parla dalla fine del 2005, da quando la Norvegia ha messo l’obbligo del 40% di donne per legge in tutti i CdA delle aziende norvegesi. Dall’estero continuano ad arrivare studi, statistiche che provano l’utilità economico-finanziaria della presenza di donne nelle stanze dei bottoni. In Italia si pubblicano con cadenza mensile, e in alcuni momenti dell’anno quasi settimanale, articoli che spiegano la materia su quotidiani generalisti ed economici. Ci sono oggi nel 2010 solo 6% di donne nei CdA delle aziende quotate, che significa solo circa 160 persone, e il trend di crescita è bassissimo tale da far prevedere innanzi a noi ancora una sessantina d’ anni per raggiungere il 30% di presenza femminile. Ciò in realtà non succederà neppure in sessant’anni, perché esempi altri paesi più evoluti, generalmente anglosassoni, evidenziano che arrivati ad una presenza di circa il 10% non c’e’ progresso in assenza di azioni positive specifiche.
L’attenzione per le politiche di genere non è solo una questione sociale ma anche di progresso economico generale. Se l’Italia raggiungesse il 60% dell’occupazione femminile (come chiesto dall’UE agli stati membri nella Strategia di Lisbona) il pil aumenterebbe del 7%. Inoltre, numerosi studi confermano che ogni 100 donne impiegate si crea un indotto di altri 15 posti di lavoro, sempre femminili.

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