22/05/2020

Credo di poter definire questa, che stiamo vivendo, come una fase psicologica: ci sono i pessimisti impanicati, i più contagiosi; gli incoscienti superficiali, figli di questa società, non se ne rendono neanche conto, ma sono i più pericolosi e infine i positivi responsabili che, nella confusione assoluta, allenano libero arbitrio e spirito critico… così mi ritrovo tra colleghi albergatori ispirati, disperati o imitativi e, in questo panorama, essere costanti e coerenti diventa difficile. Ritengo la mia, tolta la problematica economica, ma GLORIA non si interessa di vil denaro, una situazione privilegiata: vivere al ritz in una specie di sit-in in cui occupo pacificamente l’albergo, esibendo una forma di protesta non violenta, mi permette di guardare l’albergo attraverso un’altra lente, e non perché rivesto un diverso ruolo o una posizione differente, ma ora ascolto i miei pensieri e riesco a scriverli con chiarezza, in una sorta di GRANDTOUR interiore, rivolgendomi a un pubblico che, se giudica, lo fa con affetto e stima impagabili. Il mio tempo qui non è monetizzato né monetizzabile, è una prova di forza, di coraggio o, piuttosto, una prova d’amore e di fede. Un po’ come i cavalieri dell’alto medioevo le cui virtù erano importanti quanto l’armatura che portavano. II cavaliere è prima di tutto un combattente e il peggior difetto è la fellonia, il venir meno ai molti impegni presi poiché la pace poggia sulla sua lealtà, e, con la parola prodezza si intendeva l’insieme delle qualità fisiche e morali che costituivano l’ardimento di un guerriero qual’era un cavaliere. Il suo motto recitava “la mia anima a Dio, la mia vita al Re, il mio cuore alla Dama, l’onore per me”. Con l’onore non si mangia ma la mia prova è, alla fine, una testimonianza, dovuta, al ritz che simboleggia Dio, Re e Dama insieme. Non voglio esagerare né essere catastrofica, ma sento questa esperienza come il mio personalissimo doppio cieco. La double-blind control procedure in medicina prevede che sia i soggetti esaminati che gli sperimentatori ignorino le informazioni fondamentali dell’esperimento che potrebbero, altrimenti, influenzarne i risultati. Il ritz con clienti (medicina attiva) e senza clienti (effetto placebo) esiste ed esprime tutto il suo portato con forza. In questo lungo periodo di cattività volontaria in albergo, sono, infatti, andate aumentando, di settimana in settimana e di mese in mese, le video conferenze, le interviste, gli articoli, le recensione e i riscontri intorno al ritz trasformatosi in case history del turismo italiano. È esemplificativo di quanto vi sto dicendo la video intervista dell’altro giorno. Incredibilmente l’ALA ovvero l’Associazione dei liberi architetti, mi ha voluta intervistare affinché io mi esprimessi sulla percezione dell’abitare un luogo, in questo caso un hotel, che i sociologi tradizionalmente definiscono come non-luogo, intervenendo in un dibattito che professionalmente non mi appartiene, ma umanamente sì: come cambieranno l’architettura, l’urbanistica, il design e la socialità dopo l’epidemia? Il ritz è architettura, ingegneristica e design insieme e la sua struttura testimonia l’evoluzione della storia dell’ospitalità, insiste in un territorio e, rispetto a questo, è un’azienda non delocalizzabile, soprattutto, in quanto hotel, è depositario di socialità, ma è anche casa, la mia.

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