10/07/2020

A letto subito dopo CAROSELLO! Durava neanche un quarto d’ora e trasmetteva, alle 20.30, 5 siparietti. Chi non lo ricorda Carosello con la tarantella come sigla e le cartoline di Venezia, di Siena, di Napoli o di Roma? Dovremmo parlare di una trasmissione televisiva, visto che non erano ammesse repliche, più che di spot pubblicitari, che fotografò l’evoluzione del Paese per 20 anni, dal 1957 al 1977. Da quando andò in onda la prima puntata di Carosello le abitudini degli italiani vennero modificate per sempre: l’Italia si stava per affacciare al boom economico e con Carosello conobbe la cultura consumistica. Andò in onda regolarmente, anche in Mondovisione, ogni sera, dopo il telegiornale, eccezion fatta per il 2 novembre e il Venerdì Santo. Non andò in onda neanche quando morì papa Pio XII e poi papa Giovanni XXIII nel 1963, la trasmissione fu sospesa per l’uccisione di John Kennedy prima e dopo di Robert Kennedy; non andò in onda nel ‘69 per la strage di Piazza Fontana e in occasione dell’ammaraggio della navicella spaziale Apollo14, nel 1971. Carosello non era e non poteva essere solo un contenitore di messaggi pubblicitari: erano predeterminati il numero di secondi dedicati alla pubblicità, il numero di citazioni del nome del prodotto, il numero di secondi da dedicare allo “spettacolo”, la cui trama doveva essere di per sé estranea al prodotto. Più di 30 mila furono le scenette andate in onda e fu coinvolto gran parte del mondo del cinema e del teatro, alla realizzazione di Carosello parteciparono in veste di registi nomi illustri come Luciano Emmer (che ne è considerato l’inventore), Gillo Pontecorvo, Ermanno Olmi, Sergio Leone, Ugo Gregoretti, Valerio Zurlini, Pupi Avati, Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini attori illustri come: Aldo Fabrizi, Totò, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Raffaella Carrà, Giorgio Albertazzi, Renzo Arbore…. L’idea vincente fu quella di far passare la pubblicità come divertimento per la famiglia, utilizzando i generi in cui l’Italia era maestra: la commedia all’italiana, la rivista e l’avanspettacolo. Ma oltre ad attori in carne e ossa, fu grande la produzione di cartoni animati: l’Omino coi baffi per la caffettiera Bialetti, il vigile Concilia per il brodo Lombardi, Olivella e Mariarosa, Capitan Trinchetto, i Cavalieri della Tavola Rotonda, Calimero per il detersivo Ava della Miralanza, Jo Condor e il Gigante amico per Ferrero e molti altri… contemporaneamente nacquero i pupazzi animati: Topo Gigio, che esordì in pubblicità per i biscotti Pavesini, Carmencita e Caballero per il caffè Lavazza, gli abitanti del pianeta Papalla per i televisori Philco, l’ippopotamo Pippo per i pannolini Lines.

Nata nel 60, io sono cresciuta con Carosello e sicuramente sono affezionata a Topo Gigio più che a qualsiasi pupazzo animato. Facevo la pagliaccia da piccola e imitavo la sua vocina quando ripetevo: “ma cosa mi dici mai” e “strapazzami di coccole”. Maria Perego, la mamma di Topo Gigio, era cliente del ritz. Autrice televisiva e artista dell’animazione, ha dato vita al pupazzo più amato dagli italiani e da me, poi diventato un successo planetario. La signora Perego, che un po’ a Topo Gigio assomigliava, è morta l’anno scorso, a 95 anni: una vera Signora, una donna ironica che ha sempre mantenuto un profilo modesto. Veneziana di nascita, diplomata all’Accademia di arte drammatica, creerà nuovi e diversi personaggi, introducendo elementi inediti dell’animazione: né marionette né burattini, i suoi morbidi pupazzi sono mossi per la prima volta da animatori che lavorano abbigliati di nero per mimetizzarsi sullo sfondo. Un topo antropomorfo, un irresistibile combina guai che si salva sempre grazie ad una proverbiale dolcezza, ma anche a un talento eclettico: sul palco Gigio balla, canta, intrattiene e corteggia il pubblico.

L’anno scorso apparvero in edicola gli Indimenticabili di Carosello: riproduzioni rare e perfette dei piccoli personaggi senza tempo per risvegliare vecchi ricordi negli spettatori di allora, si presentavano cellophanati a un fascicoletto che ne raccontava la storia: le origini, gli aneddoti, gli autori e i tormentoni. Lo raccontai a mia sorella, notoriamente la più nostalgica delle due, che cominciò a regalarmeli. Ma è sempre stata lei quella che amava collezionare! Era lei quella ordinata che metteva insieme le cose per genere e tipologia anche nel lavoro… Lei che archivia e sistema le foto datandole, lei l’intenditrice di pezzi d’antiquariato e vintage, tutti schedati e protetti. Lei che due papere soprammobile sono l’inizio di una collezione di oltre 100 papere diverse per dimensioni e materiali. Il suo è proprio l’atteggiamento del collezionista nato. “Collezionare” significa fare una raccolta di oggetti con l’intento di creare una catalogazione più o meno ordinata e sistematica. Per definire cos’è il collezionismo quindi non è necessario fare riferimento alla natura degli oggetti da collezionare o al semplice accumulo di questi, quanto piuttosto all’esplicazione della logica che sottende l’attività del collezionare che ha sempre delle implicazioni di natura esistenziale che riguardano la sfera personale e sentimentale di chi lo pratica. Mia sorella riesce a conciliare ciò che apparentemente si trova agli antipodi: da una parte quindi la sfera irrazionale o sentimentale, che alimenta la ricerca, dall’altra la dimensione più analitica e rigorosa, che consente di stabilire opportune relazioni; ogni raccolta finisce così con l’assumere definiti connotati personali, al di là delle valutazioni di mercato. Tra hobby passione e mania l’attività del “chi cerca trova” è per mia sorella molto rilassante, al contrario di me, lei riesce a reprimere la naturale e deleteria tendenza umana al completamento e alla compiutezza. Come sostenevo ieri aveva ragione mia madre a dire che siamo complementari. Infatti se la sua sugli oggetti e i ricordi che appartengono alla storia del ritz è un’ottica da collezionista, la mia è piuttosto un’ottica museale ovvero quella di mostrare, testimoniare e condividere, al servizio degli altri per promuovere la conoscenza narrando.

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