04/05/2020

Amo vivere a Padova per le sue dimensioni, le sue vie d’acqua e la straordinarietà della sua offerta culturale. La sua impronta trecentesca tra Medioevo ed Umanesimo e la sua antica alleanza con la Serenissima Repubblica di Venezia, la rendono storicamente e artisticamente unica. Frequento poco e pochi padovani, ma so dei loro riti e dei loro ritrovi. Di Padova conosco l’intensa vita commerciale ed è a Padova che faccio la spesa e le mie spese. Ci sono giorni in cui mi gratifico e mi vizio ed è allora che “faccio danni” nei negozi. Raramente vagabondo per vetrine, mi muovo piuttosto come un segugio. Non ho un negozio preferito nemmeno per l’abbigliamento. Il look va con l’umore, quindi i punti vendita di riferimento sono almeno 4, quelli abituali, e altrettanti che invece frequento un po’ meno. Annuso le vetrine e spesso mi attira quello che intravedo dentro. Ognuno dei miei negozi ha una sua particolare atmosfera, opto per il modo di accogliermi amicale, ma professionale, comunque non troppo informale, li preferisco per la sollecitudine, ed essendo un po’ umorale e lunatica, per come sanno mostrare e raccontare il loro prodotto senza insistere troppo, lasciandomi spazio e tempo per puntare e scovare il mio capo. Li scelgo per la stesse ragioni per cui si sceglie il “ritz”: competenza senza sussiego, eleganza oltre la moda, molta personalità ma senza eccedere nell’originalità e quel tanto di sciccheria che guarda al lusso con distacco aristocratico. Non butto niente e ho gli armadi pieni, così, una delle attività che mi dà maggiore soddisfazione, è vestirmi combinando acquisti nuovi con i vecchi, magari comprati per “continuità” nello stesso negozio. Nello shopping sono abitudinaria per pigrizia e non sono fedelissima anche se, alla fine, mi trovo a entrare, più o meno, sempre negli stessi negozi, come in quello della Cristina Vanni in Ghetto. Io sono qui non è soltanto un negozio, è più un ritrovo, un luogo rassicurante, un piccolo, piccolissimo approdo, nel cuore del Ghetto Ebraico e la Vanni è un’amica di quelle che scegli da adulta solo per il piacere della buona conversazione oltre che per il buon gusto nella scelta dei vestiti che, come le camere del “ritz”, hanno un ottimo rapporto qualità-prezzo rispondendo alle esigenze e alle aspettative di un ampio ventaglio di signore patavine.

Il suo negozio è chiuso, il mio albergo è chiuso… e ci sentiamo o scriviamo di tanto in tanto senza troppa insistenza rispettando io i suoi mal di testa e lei i miei silenzi escludenti. Qualche giorno fa ho voluto prendere appunti e le ho chiesto di sintetizzarmi una lunga telefonata durante la quale ci siamo confrontate sull’osservatorio sociale che è il mio come il suo lavoro. Cristina mi ha lasciato due perle di saggezza troppo divertenti di cui ho il copyright. La prima prendeva spunto dalla mia domanda: ma tu andresti in vacanza a Wuhan? La Vanni ha risposto partendo da lontano ovvero che noi italiani, nei confronti della pandemia, abbiamo fatto come quel cornuto che, precedendo e prevenendo il pettegolezzo, ne dà comunicazione, ancor prima che ai propri affetti più cari, ai vicini o al barbiere di fiducia, urlando tutta la sua frustrazione e la conseguente rabbia, dando sfogo a tutto il suo dolore per quanto, ovviamente, immeritatamente subito. Ma poi, al netto delle pacche sulla spalla e ai vari attestati di solidarietà (più o meno “pelosa”, aggiungo io), ciò che resta, indelebile e a imperitura memoria, è che lui e’ cornuto ma soprattutto che lei è… per concludere che gli italiani devono ancora imparare a lavarsi mesti mesti i panni in casa propria. La seconda era una domanda più intima: ma tu in questi due mesi, al di là dei flash mob che mi lasciano tiepida se non imbarazzata, hai avuto percezione di un cambiamento epocale nel sentire nazionale o pensi siamo animali abitudinari che dimenticano in fretta? Cristina, come me, è mamma di figli maschi, 2 a 1 per me, e mi risponde ricordando come cambi la percezione di sé e l’atteggiamento degli altri di fronte al pancino che cresce di una futura mamma che si sente dire in ogni occasione quanto sia bella e quanto le doni la gravidanza; e nove mesi dopo, di fronte al fisico che non si asciuga e alla pancia che non rientra. Con lo specchio (quello delle brame) davanti, sono solo due le strade da percorrere ed entrambe petrose: una fatta di sacrifici al limite della tollerabilità, sfinendosi di lavoro in palestra con in corpo non più di 1000 calorie. L’altra è pensare di non farcela altalenando tra la depressione che ti spinge a mangiare e l’illusorio piacere di non costringersi a rinunciare ripetendo come un mantra che si vive una volta sola. Cristina Vanni ha, come me, l’animo della commerciale pura e sa essere estremamente pragmatica quando, alla fine, scrive che: “se vogliamo ottenere qualcosa dagli altri chiediamola al momento giusto perché passata l’emergenza rimaniamo i soliti italiani“…

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