04/04/2020

Non credo occorra spiegare molto altro sulla mia passione per il cinema e sulla necessità che ho di fare mie le storie e le immagini dei film, per quel che mi riguarda, la visione di un lungometraggio è come stare davanti a “un grande schermo della mente” (la citazione non è mia!). Nella mente si fissano immagini dove spazio e tempo si fondano tra loro, in una percezione che è soltanto interiore. La quintessenza della visione di un film si basa quindi su una specie di sospensione, su un intreccio dove è abolita la differenza tra fantastico ed esistente. Rapita da un viaggio nell’immaginario, isolata nella sala buia dal mondo reale e immersa in una dimensione filmica irreale, eppure così vera, io mi lascio trasportare in una specie di sogno a occhi aperti . La potenza e l’estetica delle scene, la loro interpretazione stessa mi risulta illimitata grazie al bagaglio delle mie esperienze, per cui il “carattere metaforico del cinema” creerà immagini mentali straordinariamente affascinanti. Immagini di cui mi approprio e che oserei definire segrete. Nel cinema si svela ai miei occhi, più o meno consapevoli, il mistero del Mondo rendendomelo più decifrabile, coinvolgendo cuore e mente.

Ho sempre letto con interesse la critica cinematografica, non tanto quella letteraria, e, non amando il concetto stesso di “critica”, direi che mi sono letteralmente abbuffata di recensioni più o meno tecniche e professionali. Mi sono abbonata a Sky per poi lasciarlo e a Netflix per disdirlo proprio a fine gennaio. Tutta questa “pippa” per prender tempo e non affrontare la domanda fondamentale: perché, perché è nato questo blog? Ed ecco allora che la risposta sintetica eppure intima viene dalle immagini di un film italiano piuttosto recente: “Indivisibili”.

Indivisibili”, del regista napoletano Edoardo De Angelis (classe 1978), è un film del 2016 che ha portato a casa diversi prestigiosi premi e che, a parer mio, sfiora il capolavoro. Racconta la storia di due gemelle siamesi che lavorano come cantanti in giro per feste paesane, spinte dalla famiglia che vuole lucrare sulla loro condizione. Essere siamesi nel film è occasione per parlare del doppio, della complementarietà, della dipendenza, delle scelte in amore, delle responsabilità nei legami della vita; l’handicap funge da punto di partenza per narrare la conquista della maturità e dell’indipendenza da parte di due sorelle letteralmente inseparabili. Non voglio fare Piera Detassis e tantomeno Gianni Canova ma significarvi piuttosto il mio legame con l’AbanoRitz… e non aggiungerò altro.

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