02/07/2020

Una pianta, come un bimbo, a un certo punto smettono di crescere. Prima o poi tutto ciò che sale cesserà di crescere. Dalla rivoluzione industriale a oggi abbiamo vissuto di presunzioni, quelle di un modello che definiremo, senza ideologie, capitalista e che pensava di poter crescere in maniera illimitata… è una legge fisica, crescere all’infinito è impossibile! È soprattutto irreale se pensiamo a questa nostra epoca storica FINITA visto che una specie di terremoto sta scuotendo i pilastri su cui poggia la società moderna: economia, cultura, politica, ambiente e spiritualità. Sembriamo tutti diventati miopi, economisti e politici in primis, incapaci come siamo di quantificare i limiti e i costi sociali e ambientali futuri. L’uomo occidentale nell’attuale monoteismo economico-produttivo è stato trasformato in merce e in consumatore. In Italia da quando sono nata io a oggi il PIL è triplicato mentre il numero degli occupati è rimasto pressoché uguale in una popolazione che è passata da 47 a 62 milioni: numeri alla mano ciò significa che i posti di lavoro sono scesi del 25% e tutto questo prima della pandemia da Covid19.

L’illusione dello sviluppo illimitato minaccia oggi le basi stesse della convivenza e dell’esistenza. Ma la qualità della vita dipende dal PIL? Il suffisso DE è un po’ come l’alfa privativa: entrambe fanno paura. Ecco perché quando in tempi non sospetti Serge Latouche economista e filosofo francese, parlava di decrescita molti rifiutarono il suo pensiero, era il traumatico periodo della crisi economica del 2008, crisi che in maniera serpeggiante è però arrivata all’anno del Covid ritornando prepotentemente alla ribalta sotto mentite spoglie quando oggi si parla di new normal. Il concetto di decrescita è alla base di una corrente favorevole alla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi, con l’obiettivo di stabilire nuovi equilibri sostenibili ed equi sotto ogni profilo. Potremmo parlare di un’inversione di tendenza rispetto al modello dominante della crescita basato sulla produzione esorbitante di merci e sul loro rapido consumo. Come ho già detto e spesso scritto si tratta di produrre più valori che business: un “cambio di paradigma” che nel mondo turistico è una scelta già avvenuta proprio perché la realtà del turismo non è delocalizzabile, altro mio cavallo di battaglia, si fonda sul territorio e vive di rapporti umani ed è dunque termometro delle esigenze sociali. Si parlava di OVER tourism, oggi, al contrario, di UNDER tourism: è una rivoluzione culturale che non accetta la riduzione della qualità alla quantità, ma fa prevalere le valutazioni qualitative sulle misurazioni quantitative. La decrescita non è riduzione e non è recessione aspetti questi ultimi che sembrano invece essere gli spettri dell’economia italiana prossima ventura. I guru della rinascita continuano a parlare di collaborazione in un sistema che invece è basato sulla sola competitività. Vittime e artefici di noi dovremmo riscoprirci espellendo quell’energia eccedente dell’uomo moderno che se non verrà rapidamente dilapidata ci si rivolgerà contro distruggendoci. L’inadeguatezza dell’intero sistema, del rapporto uomo-ambiente e i limiti della capacità di carico del nostro ecosistema si sono rivelati con tutto il loro portato nell’era della pandemia.

Se il turismo italiano lo si vuole vedere in ottica di stagioni, quelle dei paesaggi naturali e culturali, allora bisogna smetterla di pensare all’Italia come al paese del sole o del ferragosto piglia tutto, comunque del fine settimana mordi e fuggi. Il turismo termale, per esempio, ha il suo picco nelle mezze stagioni, in primavera e in autunno. E tremo all’idea dell’autunno che verrà assieme alle incognite e alle paure, per un trauma economico e umano che ha squarciato il velo di questo mondo impazzito e stremato. Liberarci dalla distopia della crescita illimitata, avere maggiore consapevolezza che non ci sarà progresso senza conservazione, coscienti che lo scopo dell’acquistare non è consumare, ma usare, soprattutto ricordarci di non confondere la gioia con il divertimento: questo è il manifesto di GLORIA.

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