01/07/2020

Ieri sera sono andata al Cinema, qui ad Abano, al Marconi. Mi piace andare nei cinema piccoli, non amo i multisala così come preferisco fare la spesa da Toni invece che al supermercato Alì. Ideologia, idealità, ma anche il piacere di ambienti raccolti dove le persone non si scontrano ma si incontrano: l’aspetto migliore della dimensione paese che altrimenti trovo angusta e per questo invadente.Qualcosa di meraviglioso” è il titolo del film, ispirato a una storia vera piuttosto recente. Può sembrare un film sugli scacchi, in realtà narra di un bambino talentuoso, che arriva dal Bangladesh a Parigi con il padre per incontrare un Grande Maestro e provare a vincere. Ma è soprattutto la storia di qualcuno che viene da un altro mondo, e prova, disperatamente, a trovare il suo posto in questo Occidente dove è facile diventare invisibili. Ci sono inquadrature di volti, a volte corpi: il corpo massiccio di Gerard Depardieu e quelli esili dei ragazzini, come quello del bambino che interpreta Mohammad Fahim, promessa degli scacchi e sans papiers. Adoro Depardieu per la sua capacità mimica, per quella faccia insolente e pure per quel suo corpo sempre più grosso. Gerard Depardieu è uno dei più importanti e riconosciuti attori europei. Nato in una famiglia profondamente povera, è cresciuto con lavori di fortuna al limite del legale. Il caso vuole che il cinema incontri ben presto Gerard e che Depardieu si innamori del cinema. Lavora con e per i Grandi ; con Bertolucci in Italia e Truffaut in Francia arriva il successo e i molti premi. Dotato di una grande forza espressiva tra film per il cinema e per la televisione, in una carriera davvero densa, Depardieu è stato spesso coinvolto in progetti scadenti; preda dell’alcolismo, ha sofferto lutti e operazioni a cuore aperto. E stasera me lo trovo in questo cinema di parrocchia a interpretare a 70 anni suonati un film semisconosciuto di Pierre-François Martin-Laval dove interpreta il maestro di scacchi burbero e severo del piccolo Fahim.

Non so giocare a scacchi e peraltro pare non sia un gioco. È piuttosto una disciplina sportiva riconosciuta ufficialmente dal CONI. Gli scacchi stimolano una serie di dinamiche psico-emotive che hanno effetti sul cervello, motivo per cui è uno sport che allena e sviluppa le capacità della mente. Il campione del mondo Garry Kasparov lo definiva come “lo sport più violento che esista”. Mi ipnotizzano i pezzi della scacchiera e le biografie affascinanti dei vari campioni. Sviluppare una certa immaginazione, una certa progettazione, essere un po’ visionari, restare pronti e concentrati per vedere ciò che non si vede, gli scacchi come metafora della vita? Un gioco esistenziale tra logica, strategia e memoria, ma nello stesso tempo irrazionalità e poesia come la partita tra Fischer che rappresentava gli Stati Uniti del Nord America e Spassky dall’Unione Sovietica: era il tempo della guerra fredda. Un gioco che induce, fra avversari, al profondo e condiviso rispetto. Simboliche le figure della scacchiera: fiero e nobile, circondato da Pedoni (l’astuzia), Cavalli (lo slancio), Alfieri (l’unico pezzo che non può cambiare colore) e protetto dalle due Torri (la casa), il Re con la sua corona domina tutte le scacchiere, da quella tascabile a quella da giardino. Sempre al suo fianco c’è la Regina. Eppure, nonostante la sua cattura equivalga a perdere la partita, il valore di scambio del Re è nullo, non è molto mobile, non si espone durante la guerra, anzi si arrocca, ma è lui lo stratega. La scacchiera è il regno dove ogni pezzo contribuisce al benessere di tutti, sottomesso al re, ma con ampia libertà di azione. Non esiste gioco moderno più longevo. E le sue regole sono rimaste immutate per secoli. Le origini degli scacchi non sono note, ma di certo esistevano nel VI secolo in India. È qui che è ambientata la leggenda per cui il gioco fu inventato dal bramino Sissa per offrire svago al suo imperatore annoiato. Finalmente divertito, il sovrano volle ringraziare il creatore del gioco offrendogli qualunque ricompensa desiderasse. Egli rispose di volere un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via. La cosiddetta duplicatio scacherii, citata anche nella Divina Commedia di Dante.

Nel parco del ritz, al centro dei suoi 6000 mq, all’ombra delle piante ,abbiamo posizionato un’enorme scacchiera da giardino con i pezzi alti mezzo metro, mentre si mettevano nel giusto ordine le 16 figure, ognuna nella sua casa, tra le 64 caselle bianche e nere; ho pensato che quella che ci stiamo giocando con la riapertura del ritz è davvero una gran bella partita in cui non sarà possibile far patta.

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