Le #Donne nella #Resistenza

Il ruolo cruciale delle donne italiane nella lotta di resistenza

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Cosa saremmo stati noi senza la Resistenza e senza il 25 aprile? Il nostro musicale “sì” suonerebbe come uno “ja” e forse le donne, che finalmente nella resistenza avevano dimostrato il loro valore ai ciechi occhi maschili, non avrebbero potuto ottenere il diritto di voto che nel 1946 portò l’Italia a scegliere la repubblica

 

Sono passati 70 anni dal 1945, anno della Liberazione d’Italia dal nazifascismo. Un anniversario importante per non dimenticare e tener viva la memoria del coraggio di chi ha combattuto per gli ideali della libertà e della democrazia.

La Resistenza italiana ha cambiato profondamente il nostro paese, influenzandone sia gli equilibri sociali che politici. La storia fa iniziare la Resistenza dopo la caduta di Mussolini e dopo l’armistizio firmato da Badoglio il 3 settembre 1943. In realtà è già nel 1940 che l’Italia comincia a cambiare: gli uomini partono per il fronte e le donne, angeli del focolare fino a quel momento, diventano i veri capifamiglia.

Il malcontento del paese nei confronti di Mussolini si diffonde e mentre al fronte si muore sotto i colpi dei mortai, nelle città si muore per la fame e il mercato nero dilaga. Le donne prendono in mano la situazione e mettono in atto le prime forme di resistenza non armata: il 16 ottobre 1941 a Parma un gruppo di donne assalta un furgone del pane e molte altre abbandonano le fabbriche per protestare.

Dopo lo sbarco in Sicilia dell’esercito anglo-americano nel 1943 inizia la ritirata delle truppe del führer. Gli alleati liberano definitivamente l’isola: l’avanzata continentale è iniziata.

L’Esercito Italiano è senza guida ed allo sbando. I tedeschi, sentendosi traditi, occupano i punti nevralgici delle città italiane e fanno più di 700 mila prigionieri tra i soldati di ritorno dal fronte. Le donne a questo punto assumono un compito fondamentale: ogni famiglia accoglie, sfama e nasconde dissidenti di ritorno o in partenza per le montagne. La guerra è entrata nelle case.

Il giorno dopo l’armistizio, a metà della guerra quindi, i partiti antifascisti compongono a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale e ciascuno di essi forma le proprie milizie partigiane, a cui si uniscono anche molte donne. Interessante è il documentario “La donna nella resistenza” di Liliana Cavani (1965).

La “Resistenza civile”, così come è stata denominata, ha quindi ufficialmente inizio. Mentre gli alleati risalgono l’Italia, le donne della penisola aiutano la Resistenza, si spingono a seppellire e lavare i corpi dei caduti partigiani anche a rischio della pena capitale, ma soprattutto assumono il rischiosissimo ruolo di staffette, come ci racconta Tina Anselmi in un’intervista molto affascinante del 2005: “Il lavoro che eravamo chiamate a fare era un compito impegnativo ma che non doveva assolutamente essere pubblicizzato… Io avevo come compito quello di portare messaggi, materiale, avvisare se c’erano tedeschi in zona e questo compito poteva essere molto pericoloso. Un giorno il mio capitano mi ha detto “Guarda che se ti trovano con questo materiale tu devi pregare Dio che ti ammazzino subito”, perché quello che facevano soprattutto con le donne, che venivano non solo torturate come gli uomini, ma sulle quali si infieriva soprattutto da un punto di vista del sesso...” .

Si organizzano i Gruppi di Difesa della Donna volti a coordinare il lavoro delle staffette e il boicottaggio della produzione bellica. Gli scioperi non potevano essere una soluzione: le donne, alla fame, necessitavano di una paga, ma sabotare gli armamenti rendendoli malfunzionanti o inutilizzabili già in fabbrica era un modo per salvare gli uomini che militavano tra le montagne. Le staffette invece sono una risorsa fondamentale per la sopravvivenza dei partigiani durante il freddo inverno: le donne portano cibo, abiti caldi, cure mediche ma anche armi, oggetti necessari ai combattimenti e soprattutto notizie tra i vari gruppi combattenti. Le famose donne di montagna diventano parte attiva della lotta partigiana: come gli uomini, le donne sono parimenti utili, parimenti coraggiose e parimenti uccise e torturate dai nemici.

Il 4 giugno 1944 gli alleati liberano Roma e a fine agosto riescono a giungere a Firenze. La liberazione sembra ormai alla fine ma l’esercito tedesco si barrica sulla linea gotica, che va da Rimini a Pisa, e appoggia il ritorno di Mussolini. È in questo momento che le bande partigiane si trasformano in un vero e proprio esercito, nonostante i rastrellamenti tedeschi non lascino tregua in nessuna città. È proprio sotto la pressione dell’esercito alleato che, poco prima della liberazione di Roma, i tedeschi commettono uno dei più famosi e crudeli crimini della storia: l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Per vendicare un attacco partigiano, le truppe tedesche fucilano alle fosse 10 civili italiani per ogni caduto tedesco, sono 335 gli innocenti fucilati, 5 in più del previsto.

Quest’anno si festeggia in modo particolare il 25 Aprile: 70 anni fa, nel medesimo giorno, il Comitato di Liberazione Nazionale diramava l’appello alla popolazione alla lotta armata per la liberazione di Milano. Il 19 aprile precedente l’esercito alleato aveva sfondato il fronte tedesco e i soldati anglo-americani erano dilagati nella Pianura Padana. I partigiani scendono così dalle montagne e attaccano i centri urbani del nord Italia. Nel frattempo l’Armata Rossa entra a Berlino.

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La resistenza taciuta

Il 29 aprile i tedeschi firmano la resa incondizionata e le brigate partigiane sfilano in corteo. La Seconda Guerra Mondiale è finita.

Cosa saremmo stati noi senza la Resistenza e senza il 25 aprile? Il nostro musicale “sì” suonerebbe come uno “ja” e forse le donne, che finalmente nella resistenza avevano dimostrato il loro valore ai ciechi occhi maschili, non avrebbero potuto ottenere il diritto di voto che nel 1946 portò l’Italia a scegliere la repubblica.

Un libro per ricordare la Resistenza italiana e il ruolo femminile in essa è “La resistenza taciuta” di R. Farina e A. M. Bruzzone; un film è il classico “L’Agnese va a morire” di Giuliano Montaldo; una canzone ovviamente “Bella Ciao”.L'agnese_va_a_morire

 

Articolo tratto dal sito Sapere.it

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